Il nuovo "L'Eco di Aversa" è una riedizione del foglio cittadino fondato da Gaetano Parente nel 1861. Il logo riprende un dipinto di Gennaro Conti, del 1886, raffigurante il sindaco Gaetano Parente nell'atto di indicare a Vittorio Emanuele la Via Roma.
Rodrigo Grande è un regista e sceneggiatore argentino, quarantaduenne, ha recentemente presentato alla Festa del Cinema di Roma la sua ultima opera “Al final de tunel”, un film tra il visionario e la suspense con una storia in chiaroscuro. La nostra Anna Baia lo ha intervistato in esclusiva.
Roma. Auditorium parco della musica. Ristorante SparTito, venerdì 29 Ottobre.
Io un cappuccino e lui un vino rosè, mentre Josè Luis Marìn, seduto accanto a me, riguarda su Instragam le foto della premiére.
«Il mio colore preferito è l’azzurro perché è il colore del mare e del cielo»; così è iniziata la nostra chiacchierata sull’undicesima edizione della Festa delcinema di Roma alla quale Rodrigo Grande ha partecipato con la pellicola «Al final de tùnel» di cui è sceneggiatore e regista. Poi mi racconta di Roma e sottolinea con verve: «sì Roma è un vulcano di amore e di fuoco. Non capisco, però, perché la gente a Roma va a dormire così presto»; a ciò mi è sembrato opportuno dirgli che le sue ragioni sono motivate dal fatto che non conosca i posti giusti! Mi guarda, mi sorride ed esclama:«ho problemi con l’agorafobia!». A me napoletana, un argentino ha rubato l’ultima parola. Bravo Rodrigo! Dopo qualche sigaretta e qualche sorso di vino rosè mi racconta del suo amore per Sofia Loren e Claudia Cardinale con le quali spera di «avere una notte di fuoco». Ed io rido e sorrido. Con il mio drummino pronto gli chiedo di 8 e mezzo di Fellini e lui :«è la storia di un uomo che piega una donna perché non sa voler bene». Decido di rendere il tutto ancora più metaracconto e mentre si chiacchiera dal mio tablet guardiamo tutti e tre lo spezzone «perché non sa voler bene»: le parole che Claudia ripete a Marcello Mastroianni alias Guido nel film. Rodrigo si aggancia alla pellicola e mi dice :«io sono molto egocentrico ma sono gentile con le donne e con i bambini». Tra foto, brindisi ed autografi che lascia ai passanti arriviamo al suo film. Ridendo ma serioso al tempo stesso mi dice: «è una pellicola maledetta. Chi la guarda muore. Mi piace la reazione del pubblico perché (scherzando) è morto di paura!»
A: il tuo film è geniale?
Rodrigo: «Sì»
Josè: «con il film Rodrigo ha superato il suo tunnel passando dalla parte nera alla libertà».
R: «Io con il mio film sono passato dalla mia parte nera del cuore ad un intento di possibile libertà». Aggiunge: «Hitchcok è uno stronzo perché mi ha plagiato con anteriorità!»
Mi parla, poi, della prossima pellicola anticipandomi che «avrà come protagonisti Josè Luis Marìn, Maribel Verdù e Concha Velasco». Diretto, Josè esclama (ridendo) : «Maribel e Concha ancora non lo sanno!»
Dopo un’ora circa di chiacchiere e risate gli chiedo un finale per la mia intervista e Rodrigo: «il tuo giornale sarà eliminato dopo questa intervista. Aspetto che fallisca (ride sonoramente)».
Ah ma l’ultima battuta è stata questa qui «PORCA ROMA SARAI NOSTRA!»
Nelle sale cinematografiche dal 14 settembre, il
decimo film targato Gabriele Muccino s’identifica come un inno alla vita,
assaporata fino all’ultimo morso, ballata fino all’ultimo passo, consumata fino
all’ultimo respiro; un respiro che è un mix di salsedine, cocco e abbronzante,
i tipici profumi inebrianti che scandiscono le assolate giornate estive, le
quali fungono da sfondo al nuovo lavoro del regista romano. >>>continua>>>>>
Nella prefazione, Maurizio de Giovanni pone l’accento sul
sentimento religioso, qualcosa di ben diverso dalla religione, ripetendo più
volte il postulato: “Crederci. Non crederci”. La religione possiamo intenderla
come assioma di regole di vita, precetti, riti, e osservanze specifiche,
espressioni del sentimento trascendente che lega l’essere umano a una Entità
Superiore nella quale egli crede e confida. Il miracolo – afferma il prefatore
– è
un sogno collettivo, la speranza di un
popolo di uscire dal buio… È la speranza
sottile e irrazionale che il destino abbia qualche aspetto che con le leggi della natura, fredde e non modificabili, non ha nulla a che fare. La speranza che basti chiamare, a gran voce,
e qualcuno prima o poi risponderà.
“Sufragette”, il 23 agosto sera,
Arena Lucciola di Santa Marinella. Alla fine della proiezione ho esclamato: “Che
bel film!”. Da tempo non ne vedevo così: lucido, oggettivo, ben fatto, non
lento, colori grigi azzeccati (il film si svolge in Inghilterra, a Londra),
ottime interpretazioni, perfettamente illustrativo circa il cammino delle Donne
per l’emancipazione ed, in particolare, il conseguimento del diritto di voto.
Alla fine della proiezione ti poni una prepotente domanda: come è possibile
che, ancora una volta, la storia ci offre una differenza, condivisa sulla Terra
intera (e non unilaterale come, ad esempio, fra tedeschi-ebrei) tra Persone in
tema di diritti fondamentali? >>continua>>>
L’acqua, il liquido amniotico, racchiude lo svolgimento della
storia: la fonte di vita capita ne accompagni il termine, come sovente accade
in questi anni di enormi migrazioni marine. Il libro è del 1964, finalista allo
Strega e appena ripubblicato, ma è di decisa modernità per l’approfondita
indagine psicologica della protagonista, la quarantenne Lidia, e per quel dire
e non dire che accompagna le accurate descrizioni di realtà interiori ed
esteriori. Un’esposizione pittorica, direi. La memoria rimesta nel passato e,
dandogli nuova vita, ne integra anche gli aspetti che possono aiutare a
sviscerare la vera natura dell’oggi. Lo scalpellio delle frasi, di lieve
brevità, equivale a pennellate che si depositano qua e là sul quadro in
gestazione, fino a delineare ogni particolare del minimo dettaglio. Un marito,
Antonio, reduce da lunga prigionia di guerra in India, una figlia, Nina,
Ortensia, la creatrice di moda i cui prodotti Lidia commercializza,
accompagnano le sue routinarie giornate milanesi. E poi, grazie anche al suo
fascino con i clienti maschi, da dipendente ne diviene collaboratrice, brava ad
accostare colori e a creare bozzetti dimostrativi di abilità e buongusto. >>>continua>>>>
Maddalena, è la “pazza della porta accanto”, è la vicina, la compagna di viaggio che ci siamo scelti, per raccontare la storia degli ospedali psichiatrici della Campania felix, attraverso le mura della città. Maddalena l’ho conosciuta, stava nella sua celletta buia in agonia. Oramai da un ventennio versa in condizioni di degrado e devastazione, nelle sua stanze, della follia umana. Pazza, non ci sembra più tanto pazza: ascolta musica e poesia. Arroventa la penna nel fuoco per scrivere i suoi versi più belli, e di notte dipinge. Sembra quasi un quadro dell’arte dell’impossibile. La stanza, il silenzio di chi vorrebbe gridare: “quale sarà il mio destino? E’segnato dalle parole scritte sui muri?” Uomini e cittadini dalla voglia di ricominciare, hanno deciso di riaprire i cancelli; di solito è sempre l’ultima chiave del mazzo quella che apre la porta. Si sono catapultati nella sensibile storia con scatti fotografici puntati sulle mura della città. Hanno indossato quelle pareti impregnate di memoria ed hanno scritto sui muri, hanno ascoltato la storia, le storie di chi vuole ascoltare la bellezza della vita. Pietre su cui scheggiare anche l’ultimo desiderio. Adesso sono le mura a dover parlare del grande sogno di libertà.
La storia comincia così….
Resto qui a pensare…. Il riscatto, ne vale la nostra identità.
Vorrei consegnarti un foglio bianco…per poter scrivere il sogno di libertà.
Ogni foto è un ricordo, una scalata, solo un miliardo di pixel, che girano come di stelle verso una nuova realtà.
L’incubo della prigionia ad un sogno: un desiderio comune è questo “La Maddalena che vorrei”
Come è vero che un pianto ci fa nascere più forte di tutte.
Adesso:vinco o muoio.
Dal vetro di un padiglione vedo il volo di una farfalla è pronta per spiccare il volo assaporo fino in fondo l’esistenza di vedere oltre.
Ho un amico si chiama Antonio, lui viene dal futuro e può leggerti nel pensiero, da lui ho imparato a sognare…da allora non smetto.
Guardo, le mie mani …le mie impronte.
Spezzo le catene della lunga prigionia.
Respiro a pieni polmoni,è così che si inizia a vivere. È il mio presente, non lo tradirò mai.
Continuo a salire, la mia rosa, non c’è miglior modo per onorare la vita, perchè nulla ci fa più coraggiosi quando siamo noi stessi a deciderlo.
Dal testo apprendiamo subito che la pimpinella è il fiore che
vuol significare “sei il mio unico amore!”, un viatico sicuramente indovinato
alla lettura del libro. E il sottotitolo insiste: “Storia di un primo amore“.
Una ridondanza: il primo amore è universalmente giudicato l’unico ed eterno,
sempre… e non è finita: Victoire, definita dal padre “la mia vittoria più
bella“, è fantastica.
Sembra che una
pioggia di colori invada ogni quadro di Alessandro e non si può fare a meno di
‘entrare’ in questa fitta cascata di rossi, di gialli, di blu con il rischio
concreto dello straniamento da cromìa. E invece, a ben guardare, questi quadri
sono lezioni di storia, lezioni di paesaggio e, soprattutto, di prospettiva che
Alessandro forma e deforma a proprio (cólto) piacimento per consentirci di
leggere al meglio architetture antiche e nuove di cui egli è fine conoscitore. >>>continua>>>
È questa l’opera d’esordio nel campo letterario dell’Autrice
(Milano, 1968), giornalista e direttore editoriale di riviste economiche. Vi è narrata
la saga di una famiglia piemontese, di umili origini ma dai saldi legami
parentali, dagli anni venti del secolo scorso sino ai giorni nostri. Le
vicende, ambientate nei bei luoghi intorno Stresa, godono del magnifico sfondo
delle vedute sul Lago Maggiore. Il lavoro di ombrellaio ambulante, nei tempi
passati, è stata la tradizione passata di padre in figlio, tutti provetti in
questo antico mestiere. >>>
Periodico
Registrazione presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere N. 602 del 19/09/2003 Direttori responsabili: Andrea Scaglione e Salvatore De Chiara