Prologo
Il Notaio svolge, com’énoto, un ruolo di garanzia per l’Ordinamento, posto che assicura la legalità degli atti negoziali (sia inter vivo, che mortis causa).
In ragione di ciò – così a me pare – è cosa utile offrire un quadro di sintesi del DPE, donde derivano normazioni settoriali che influenzano (gli) e incidono (sulla) conformazione dei negozi giuridici .
La breve riflessione partirà dal quomodo e dal quid del Diritto Privato Europeoal fine di analizzare particolari settori normativi, di cui i notai (come gli avvocati prima e i giudici poi) non possono prescindere, pena la nullità dell’atto, l’errore d’impostazione di un atto processuale o infine di una sentenza illegale, perché ingiusta.
1 – Il Diritto Privato Europeo: la sfinge dai molti volti.
Quando si parla di “sfinge” si indica un insetto e si allude al mito:
1.a) dell’insetto si possono mettere in luce la caratteristica della multiformità; si tratta di una farfalla che si articola in almeno 300 specie (v. David Carter, Farfalle e falene – Guida fotografica ad oltre 500 specie di farfalle e falene di tutto il mondo, a cura di Andrea Sabbadini, 1a edizione, Milano, Fabbri Editori, 1993, p. 304) e denota metaforicamente la pluralità di forme di un “oggetto” (che, nel nostro caso, è un “concetto”: il diritto comunitario).
Questa mutazione di forma dell’insetto (e del concetto di cui si parlerà) viene proposta nel racconto dell’orrore di Edgar Allan Poe (The Sphinx, risalente al 1863) in cui il grande e infelice letterato inglese proietta sulla pagina l’immagine di un mostro gigantesco (che urlava scendendo da una collina) che, dopo un attento esame, si scopre essere un insetto (farfalla) lungo circa un sedicesimo di pollice, che si arrampicava nella tela tessuta da un ragno, che proiettava sull’osservatore – disattento impreparato e suggestionabile – l’immagine di una forma di animale di dimensioni mostruose;
1.b) il mito della Sfinge si risolve in un enigma (il primo nella storia): nella mitologia greca la Sfinge viene collocata all’ingresso della città di Tebe ai passeggeri, che – per non essere divorati o strangolati – se non riuscivano a risolvere l’enigma posto al passante; chi parlava era l’immagine di un leone con il volto da donna e le ali di uccello.
Si tratta di un animale mitologico che può anche morire, ma poi risorge all’infinito e la cosa curiosa è che il mito (secondo gli antropologi e gli storici delle religioni) è uno “stampo” della realtà universale che si ripete infinitamente nella realtà naturale. In proposito mi piace ricordare il Teatro La Fenice di Venezia che ha avuto l’avventura di essere stato incendiato quattro volte e per cinque ricostruito ogni volta più bello di prima.
Orbene, tutte queste connotazioni possono essere traslate sul D.P.E. perché:
1.a) nessuno esattamente sa cosa sia;
1.b) benché negato, riafferma – come nel mito – la sua esistenza;
1.c) metaforicamente “ucciso”, cioè espunto dalla concettualizzazione giuridica, riemerge dalle sue stesse ceneri e si presenta al giurista come un “gigante” dell’ordinamento transnazionale;
1.d) si propone come “enigma giuridico” e ha bisogno di essere “risolto in soluzioni plurime”, attraverso la forza della mente dei giuristi, ognuno dei quali ne dà l’esatta raffigurazione sulla scena del Diritto; ogni “forma concettuale” è approssimata al verosimile, ma non al vero, soltanto perché non c’è mai una sola verità dell’“enigma” (tant’è che, nella letteratura, l’enigma può essere subito e affrontato solo dalla personalità di un medium, com’è di certo E. A. Poe).
Questa divertita premessa, colloca chi parla o chi scrive del D.P.E. in una situazione labirintica, che esige di ricorrere all’escamotage del “filo di Arianna”, il dilemma cioè della ricerca del punto di “partenza” (perché quello di “arrivo” è matematico, anzi più propriamente “geometrico”), che esige un atto di fede, un suicidio della ragione, un credere cieco verso l’interlocutore che assurge a “vate loquente”.
In uno dei Trattati con maggiore carica di ingegni (Manuale di diritto privato europeo, a cura di Castronovo e Mazzamuto, vol. I, Milano (Giuffrè), 2007) si legge che “del diritto europeo si può dire che c’è, anche se non è ancora certo ciò che esso sia” (op. cit., p. 3): ecco che con questa frase si ripropone il tema della Sfinge che “appare”, ma non si sa “cosa sia”, onde a me appare più agevole individuare la strada del “non essere”, piuttosto che quella dell’essere e, dunque, posso permettermi di affermare che il D.P.E. non è:
1.a) il Diritto Internazionale Privato;
1.b) il Diritto Privato Nazionale.
Et hora sufficit!
Siamo in presenza di un Diritto senza Stato: vi è cioè un ordinamento che non è riferibile ad un Ente soggettivo pubblico (Enspubblicum, possens) perché vive in autonomia senza Res pubblica, galleggia liquido e mobile tra i Popoli dell’Unione.
Ciò denota un fenomeno logico e anche para-logico di tutta evidenza: il Diritto viene prima dello Stato, anzi addirittura ignora lo Stato e non per questo è meno certo dello Stato di Diritto.
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