La necessità di detto ulteriore atto di trasferimento
distingue il preliminare di vendita di cosa altrui dalla mera vendita di cosa
altrui, in cui l'effetto traslativo si produce automaticamente per il solo
fatto che il bene entri nel patrimonio dell'alienante, come previsto dall'art.
1478, secondo comma, c.c. In ipotesi di vendita di cosa altrui, lordinamento tutela la buona fede
del compratore, ignaro dell'altruità della cosa, nella misura in cui il
venditore non gliene abbia fatto acquistare la proprietà, concedendogli
all'uopo il rimedio della risoluzione del contratto (art. 1479, c.c.), rimedio
che la Giurisprudenza di legittimità ha esteso anche al promissario acquirente
di cosa altrui, subordinandone tuttavia l'esperibilità all'infruttuoso decorso
del termine per la stipula del definitivo, atteso che sino a tale momento il
promittente venditore può adempiere all'obbligazione di far acquistare al
promissario acquirente la proprietà del bene (cfr. Cass., Sez. Unite, 18 maggio
2006, n. 11624: "In tema di preliminare di vendita di cosa altrui, il
promittente venditore, anche nel caso di buona fede dell'altra parte, può
adempiere la propria obbligazione procurando l'acquisto del promissario
acquirente direttamente dall'effettivo proprietario. In tale ipotesi, il
promissario acquirente, pur avendo ignorato l'altruità del bene, non può agire
per la risoluzione del contratto se, entro il termine stabilito per la
conclusione del definitivo, il promittente venditore gli abbia fatto acquistare
la proprietà dal terzo").Il Tribunale di Milano ribadisce, quindi, come il
preliminare di vendita di cosa altrui possa avere ad oggetto quote sociali
(cfr. Trib. Milano, sez. VIII, 18 dicembre 2012, in www.giurisprudenzadelleimprese.it, fattispecie che riguardava la sottoscrizione da
parte di una società in accomandita semplice, tramite il suo legale
rappresentante, di un preliminare di cessione delle quote di propri soci, da
intendersi appunto come preliminare di vendita di cosa altrui).Né può
condividersi, secondo il Tribunale, la tesi attorea secondo la quale «si può
"vendere la cosa altrui", ma la partecipazione in una società non è una "cosa",
è un fascio di diritti (non di natura reale) che conferisce uno status, appunto
quello di socio"».
Si rileva, infatti, come già da tempo la
giurisprudenza maggioritaria abbia riconosciuto alla quota sociale natura di
bene immateriale equiparato ad un bene mobile non iscritto in pubblico
registro, con la conseguente applicabilità alla stessa delle disposizioni
concernenti i beni mobili e, in particolare, della disciplina delle situazioni
soggettive reali. Tale impostazione è stata, peraltro, confermata dal
legislatore della riforma (d.lgs. n. 6/2003), il quale, da un lato, ha
novellato l'art. 2741 cc, consentendo l'espropriazione della partecipazione in
S.r.l. e, dall'altro, ha introdotto l'art. 2471-bis cc, a mente del quale tale
partecipazione "può formare oggetto di pegno, usufrutto e sequestro". Giova a
tal fine ricordare le seguenti pronunce:
- Cass., sez. III, 12 dicembre 1986 n. 7409 (in
Nuova giur. civ. comm., 1987, 499 e in Giur. comm., 1987, II, 741), secondo cui
la quota sociale della società a responsabilità limitata - non essendo
incorporata in una azione e, quindi, in un documento avente natura di cosa
materiale - è bene immateriale che esprime una posizione contrattuale "obbiettivata",
suscettibile, come tale, di essere negoziata in quanto dotata di un autonomo
"valore di scambio" che consente di qualificarla come "bene
giuridico" e va equiparata ex art. 812 c.c., al bene mobile materiale (non
iscritto in pubblico registro), restando sottoposta alla disciplina legislativa
di questa categoria di beni;
- Cass., sez., I, 23 gennaio 1997 n. 697 (in
Giur. it., 1997, I, 1, 720 e in Società 1997, 647, con nota di Picone, Natura
della quota di s.r.l. e simulazione del trasferimento), secondo cui «La quota
di partecipazione nella società a responsabilità limitata esprime una posizione
contrattuale obbiettivata che va considerata come un bene immateriale
equiparato ai beni mobili, ai sensi dell'art. 812 c.c., il cui trasferimento è
validamente ed efficacemente attuato attraverso un contratto del quale sono
parti l'alienante, titolare della quota, e l'acquirente, mentre la società è
terza ed il trasferimento è produttivo di effetti indipendentemente
dall'iscrizione nel libro dei soci, la cui unica funzione è quella di renderlo
efficace nei confronti della società»;
- Cass., sez. II, 30 gennaio 1997 n. 934 (in
Giur. comm., 1998, II, 23), per la quale «Le quote sociali, anche nelle società
di persone, costituiscono beni nel senso dell'art. 810 c.c. in quanto
suscettibili di formare oggetto di diritti e vanno ascritte residualmente alla
categoria dei beni mobili a norma del successivo art. 812 comma ultimo, atteso
che alla quota fanno capo (insieme con i relativi doveri) tutti i diritti nei
quali si compendia lo "status" di socio, non riducibili a mere
posizioni creditorie. Ne deriva che, allorquando ne sia controversa la
titolarità, anche le quote di una società di persone possono essere
assoggettate a sequestro giudiziario, senza che a ciò sia d'ostacolo la
riferibilità, nel suddetto tipo societario, della vita della società ai soci
nel loro insieme, poiché proprio la possibilità per il singolo socio di
influenzare e condizionare con l'esercizio dei poteri riconosciutigli dalla
legge, l'andamento della compagine sociale può rendere opportuno che in attesa
della definizione della controversia sulla titolarità della quota tali poteri
siano esercitati da un gestore imparziale e disinteressato, conformemente alla
previsione dell'art. 670 n. 1 c.p.c., il quale, nella considerazione che
oggetto del sequestro possa essere anche un'entità dinamica di cui assicurare
una corretta e imparziale amministrazione, prevede accanto allo strumento della
custodia anche quello della gestione temporanea»;
- Cass., sez. I, 4 giugno 1999 n. 5494 (in Giur.
it., 2000, 101) e Cass., sez. I, 26 maggio 2000 n. 6957 (in Società, 2000,
1331, con nota di Collia, Sequestro giudiziario di quote di società a
responsabilità limitata e in Giur. it., 2000, 2309) secondo cui «La quota di partecipazione
in una società a responsabilità limitata esprime una posizione contrattuale
obiettivata che va considerata come bene immateriale equiparabile al bene
mobile non iscritto in pubblico registro ai sensi dell'art. 812 c.c., onde a
essa possono applicarsi, a norma dell'art. 813 c.c., le disposizioni
concernenti i beni mobili e, in particolare, la disciplina delle situazioni
soggettive reali e dei conflitti tra di esse sul medesimo bene, giacché la
quota, pur non configurandosi come bene materiale al pari dell'azione, ha
tuttavia un valore patrimoniale oggettivo, costituito dalla frazione del
patrimonio che rappresenta, e va perciò configurata come oggetto unitario di
diritti e non come mero diritto di credito; ne consegue che le quote di
partecipazione a una s.r.l. possono essere oggetto di sequestro giudiziario e,
avendo il sequestro a oggetto i diritti inerenti la suddetta quota, ben può il
giudice del sequestro attribuire al custode l'esercizio del diritto di voto
nell'assemblea dei soci ed eventualmente, in relazione all'oggetto
dell'assemblea, stabilire i criteri e i limiti in cui tale diritto debba essere
esercitato nell'interesse della custodia».
- Cass., sez. III 21 ottobre 2009 n. 22361 (in Giur. comm.,
2010, II, 1112, con nota di Parmiggiani, Natura e pignoramento della quota di
s.r.l.), secondo cui «La quota di s.r.l. esprime una posizione contrattuale
obiettivata, un bene immateriale da equipararsi al bene mobile non iscritto in
un pubblico registro e che tuttavia ha un valore patrimoniale oggettivo, che è
dato dalla frazione del patrimonio che rappresenta. Conferma dell'equiparazione
della quota al bene mobile non registrato si ricaverebbe anche dall'articolo
2482, secondo comma e 2483 c.c., in base ai quali la quota può essere
trasferita, sequestrata, concessa in pegno dal socio e non dalla società che
rispetto a tali avvenimenti è terza».
A queste pronunce può aggiungersi ancora Trib. Milano, 13
marzo 2015 (in CNN Notizie del 24 settembre 2015, con nota di Ruotolo -
Boggiali, La partecipazione di s.r.l. va considerata come bene mobile e può
esser acquistata per usucapione ai sensi dell'art. 1161 c.c.) che si è espresso
per l'applicabilità dell'art. 1161 c.c. («in mancanza di titolo idoneo, la
proprietà dei beni mobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni
medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per dieci anni, qualora
il possesso sia stato acquistato in buona fede. Se il possessore è di mala
fede, l'usucapione si compie con il decorso di venti anni») alle partecipazioni
sociali. Ciò, appunto, in forza del fatto che la quota di partecipazione in una
società va considerata come un bene immateriale equiparabile ad un bene mobile
non registrato.