"E importante ricordarsi di ciò che viene" - dicevano i Padri del Deserto.
In questo paradosso esistenziale,nella dimensione temporale che ci coinvolge, cogliamo il fluire del tempo,tra passato,presente e futuro;tra ciò che era ciò che siamo e ciò che saremo,avvolti dal senso dell'"inattuale", ma sempre in attesa dell'evento"; di ciò che accade o potrebbe accadere o accaderci, dal passato remoto o recente.
Viviamo dunque, il tempo, come momento "divenire", del "fieri".
La tendenza "teoretica" della filosofia e della fenomenologia,non esclude il rapporto con la realtà del mondo in cui l'esistenza si realizza, talvolta in maniera anche problematica, oggetto di indagine psicologica e psicanalitica, senza mai prescindere dal carattere di trascendenza che ne sublima consapevolmente o meno, la pianificazione progettuale e quindi il proiettarsi verso un futuro di realizzazione personale in cui fare esperienza di libertà, proprio attraverso quell'essere proiettato nel mondo, come dice Sartre.
Attraverso questo processo,l'esistenza perviene alla propria autenticità: l'uomo che realizza se stesso ne raggiungimento della propria attuazione personale, individuale e anche relazionale col mondo e con gli altri.
E' il senso dell'essere che si esplica si dipana.
Sono in gioco, i meccanismi della comunicazione in cui la parola acquista e rivendica tutta la sua reale e potenziale valenza come strumento e veicolo di libertà e liberazione in senso terapeutico, anche dai "lacci" del vivere nella quotidianità, puntualizzato dall'angoscia, sintomatica del secolo scorso e che ancora tocca questi nostri giorni; un Novecento su cui si addensavano problemi non risolti dal secolo precedente e che con il sorgere della psicanalisi, sottolineava il disancoraggio dell'uomo dalle vecchie certezze con condizioni di instabilità e insicurezze,di cui sono voce Kafka, Proust, Sartre, Moravia.
Un angoscia che induce la paura del nulla per una vita senza prospettive e quindi senza futuro,con la morte unica alternativa che si intraveda all'orizzonte cui ci si prepara, come dice Platone e come scrive Dante,attraversando il breve itinerario della vita e magari, esorcizzandone l'effetto, rifugiandosi nella religione, guadagnando una più intensa apertura ad un nuova vita, come ancora afferma Platone.
La morte chiude inesorabilmente la "storicità" dell'esistenza iniziata con la nascita e sviluppatasi e resa autentica dalla progettualità che l'individuo realizza operando scelte autonome e libere, dettate da una visione "economica" del vivere siglato dall'enigma "morte", esperienza che come il dolore, veramente ci appartiene, al termine del nostro vagabondare attraverso i mille modi in cui l'estrinsecarsi del nostro essere si manifesta,sempre alla ricerca della verità;la verità che non può mai essere raggiunta nella sua assolutezza oggettiva, ma solo avvicinata attraverso un processo "euristico" teso a definire "ciò che non è nascosto".
Una verità,ancora che è alla ricerca di un nuovo umanesimo utilizzando un nuovo linguaggio come "casa dell'essere", per dirla con Heidegger, capace anche di dar voce all'"ascolto" e come involucro che avvolge l'uomo nel suo tendersi illuminante verso il divino e l'assoluto che salva e che si esprime attraverso la poesia in cui l'essere si libra nelle forme più eccelse della parola e l'arte, che come conoscenza, ci lega alla verità così come erano congiunte nel mondo antico e che dà forma, nella riflessione estetica, alla tensione dell'uomo verso la bellezza: l'una e l'altra penetrate dall'investigazione critico-ermeneutica che fa emergere il non-detto e il non-rappresentato.