Magari non fu per mancanza di vocabolario adeguato che nella Grecia classica utilizzarono un stesso termine per quello che oggi chiamiamo arte, mestiere e mera abilità produttiva. >>>
Oltre ad esprimere questa polisemia, la parola teckné evitava anche l'impossibilità di separare quello che coabitava nella sostanza hilemórfica, vale a dire, la forma e la sostanza, o, come si direbbe posteriormente, il significante ed il significato.
Qualunque opera che privilegia o amputa uno dei due aspetti cade necessariamente nel fatto artigianale vuoto di contenuto, condizione nella quale deplorevolmente si trova buona parte dell'incisione attuale; o finisce, al contrario, in un fondo informe, come quelle pitture uscite delle mani degli schizofrenici, con troppa idea ma poco sviluppo.
Un altro dei pericoli, senza alcun dubbio, è quello di cercare di riconciliarci armonicamente in una totalità perfetta, tranquilla e tranquillante.
Le incisioni di Inés González, coniugano, ma in piena tensione discordante, i due aspetti di quell'antica parola, scambiando perfino a volte le carte. Nella sua opera, la tecnica è già il tema, e viceversa, ma eludendo l'identificazione.
Il volere-dire gioca col volere-fare in una lotta senza tregua dove è impossibile la piena separazione, ma anche la fusione.
Alla domanda già classica: che cosa ha voluto significare l'artista con tutto questo?, si rinvia al procedimento tecnico, nel che il caldo legno delle radici e dei rami, (hyle, la denominavano i greci), è sottomessa allo sradicamento del freddo metallo del ferro da stiro, al suo impatto stampatore.
Ci troviamo dunque davanti ad alcune incisioni nelle quali la tecnica evidenzia già il senso che non è un altro che quello dell'esilio perpetuo di un dolore interminabile.
Detto altrimenti, la ragione sufficiente dell'arte è l'esilio.
Frammenti, lacerazioni, frazioni ed estremità amputate di un giardino botanico sono gli elementi che appaiono ripetuti nelle incisioni di Inés González.
Ferite impossibili da chiudere, cicatrici incancellabili che solcano l'incisione, bombandola o affondandola sempre di più mediante incisioni accentuate, impugnano una totalità impossibile, quella di qualunque paradiso. Sembra come se una legione di larve minatrici fosse scappata dai brandelli delle piante utilizzate nelle calcografie, vivendo negli interstizi della carta.
Forse si approfitta della cellulosa del supporto, creando nuove gallerie che mimetizzano la crescita e la fioritura del suo antico ospite per passare inavvertite dentro quello nuovo habitat nel quale sono stati confinate.
Julio Díaz Galán
INÉS GONZÁLEZ
Nasce a Tucumán (Repubblica Argentina) dove inizia la sua formazione nel Dipartimento di Belle arti dell'Università nazionale.
Da 1990 vive e lavora a Madrid.
Ha realizzato numerose esposizioni individuali e più di quaranta collettive in tutto il territorio spagnolo ed in paesi come Svezia, Austria, Francia, Croazia, Slovenia, Italia, USA ed Argentina, partecipando anche a fiere ed incontri internazionali. Si dedica alla pittura, al disegno, all'incisione ed ai libri di artista.