Le correnti di opposizione ai Dico riscoprono, chissà perché solo ora, “La Famiglia”, e subito il problema del sostegno alla famiglia diventa protagonista del dibattito politico. Ma poi dopo le amministrative il problema è già ritornato “Il Nord”, dopo il caso Speciale è diventato “La Guardia di Finanza” a cui tutti adesso dobbiamo esprimere stima e solidarietà, fra poco ritornerà “Il Mezzogiorno”, quindi toccherà di nuovo alla Famiglia e poi sarà il turno della Tav. Il tutto naturalmente senza mai assumere provvedimenti appena un po' risolutivi ma sempre solo parlandone. E parlare di sostegno alla famiglia significa oggi dividersi tra sostenitori e avversari del quoziente familiare. Spesso senza sapere perché. Non è sbagliato quindi cercare di fare un po' di chiarezza su questi temi.
All’improvviso in Italia il dibattito di politica fiscale e redistributiva si è focalizzato principalmente sul tema della “famiglia” e su come essa debba essere agevolata e sostenuta dallo Stato.
La forte caratterizzazione ideologica del dibattito sta però ignorando i contenuti e alzando invece un polverone di argomenti che non solo non aiuta a mettere a fuoco i termini del problema, ma in qualche caso rischia di causare addirittura un peggioramento dei sostegni ai carichi familiari.
Proviamo allora a riassumere brevemente la situazione attuale e i principali scenari di riforma.
Oggi il sostegno ai carichi familiari avviene essenzialmente con tre strumenti:
- detrazioni per carichi di famiglia in sede Irpef, cioè abbattimento dell’imposta personale dovuta sulla base della presenza e delle caratteristiche di familiari “a carico”, cioè con reddito complessivo individuale annuo inferiore a 2841 euro;
- assegni al nucleo familiare (ANF), cioè un importo riservato a dipendenti e assimilati per figli o altre limitate figure familiari, tutti individuati in base all’età, alla condizione di invalido ed a quella di giovane studente;
- assegno per il terzo figlio (A3F), un altro importo riservato a qualsiasi nucleo familiare anagrafico con almeno tre figli minori.
Tutti questi interventi agevolatori sono in varia forma decrescenti, fino a scomparire per i redditi più elevati.
Una normativa scompaginata
Già dall’elencazione delle tipologie di intervento si intuisce la frammentarietà dell’attuale quadro di riferimento:
- I nuclei familiari di riferimento sono estremamente diversi tra loro: genitori e familiari a carico per le detrazioni Irpef, genitori coniugati e figli minorenni o invalidi, anche se non a carico, per gli ANF, nuclei anagrafici comprensivi dei conviventi per gli A3F. Si noti che la struttura degli ANF, gli A3F e perfino le detrazioni Irpef contengono speciali agevolazioni per i figli neonati e per le famiglie numerose, a conferma del valore positivo (anche se non argomentato) attribuito alla crescita della natalità e delle famiglie numerose.
- Il ruolo della condizione reddituale dei beneficiari non è chiaro né uniforme. Se per le detrazioni è obbligatorio possedere al massimo un reddito del tutto insufficiente per l’autonomia, e si prescinde in questo caso dall’età, per gli ANF è indifferente il reddito posseduto (anche se poi l’assegno decresce quando sale il reddito familiare), ma è essenziale essere minorenne (anche qui senza un perché noto, almeno a chi scrive).
- Infine, la determinazione dell’ammontare spettante dell’agevolazione è agganciato a concetti di reddito molto diversi: per le detrazioni conta il reddito complessivo individuale Irpef (che dà origine a diversi ammontare dati a famiglie con ugual reddito e struttura); per gli ANF conta un reddito familiare che comprende anche altre voci non soggette ad Irpef; per gli A3F conta un reddito come definito dall’ISEE, cioè familiare e con un doppio ruolo svolto dalle componenti patrimoniali (una volta come generatrici di reddito ed un’altra come elemento di “discriminazione di specie”).
Si vede subito che un quadro di questo genere è difficilmente difendibile, ed in effetti nessuno lo difende esplicitamente, salvo ostacolarne il possibile superamento. Si è però sviluppata un’accesa discussione su quali siano i modi di ridisegnare l’intervento di sostegno.
Le due proposte: il quoziente familiare
Per motivi di brevità riassumerò le proposte in due soli filoni: il quoziente familiare e l’unificazione degli strumenti di sostegno alle famiglie nel quadro di un’Irpef individuale.
Il quoziente familiare consiste nel considerare la famiglia come unità d’imposizione progressiva Irpef: la somma dei redditi familiari viene divisa per il numero dei componenti, corretto per tener conto delle economie di scala familiari (a parità di tenore di vita un componente in più costa un po’ meno della spesa pro capite di quelli già esistenti) o di altri elementi di agevolazione, e tassata con l’Irpef progressiva. A questo punto l’imposta “pro capite”, o meglio “quozientizzata”, viene rimoltiplicata per lo stesso numero (quoziente) per cui si era diviso il reddito familiare. In questo modo, in sostanza, si tara la progressività su un particolare tenore di vita familiare anziché su quello individuale.
Le ragioni del quoziente si fondano sul fatto che la famiglia è la vera unità di produzione del reddito e consumo, cosicché risulta iniquo tassare progressivamente gli individui ignorando il tenore di vita che l’effettiva struttura familiare consente loro. L’argomento è di particolare rilievo per le famiglie monoreddito, nelle quali spesso la moglie svolge i lavori casalinghi non retribuiti ed il marito guadagna reddito per tutti, e per le famiglie bireddito in cui avviene qualcosa di simile, e cioè in cui un coniuge (spesso la moglie) partecipa poco o in modo poco qualificato al mercato del lavoro ed il marito percepisce invece i redditi più sostanziosi.
Le principali critiche al quoziente si basano invece sul disincentivo alla partecipazione femminile al mercato del lavoro (l’aliquota di tassazione in ingresso del coniuge che non lavora parte già dal livello reddituale familiare anziché da zero) e sulla forte concentrazione dei benefici nelle famiglie con redditi individuali elevati (ma questo punto è più controverso, in quanto la misura del tenore di vita o della capacità contributiva può essere anche fondata sul reddito “equivalente”, ed in questi casi l’impatto redistributivo avrebbe caratteristiche meno univoche).
A questi limiti si può aggiungere la considerazione che, a dispetto della dizione “familiare”, il meccanismo del quoziente è un correttore di progressività e non un sostegno ai familiari. Se, come hanno purtroppo previsto i progetti di legge giacenti in Parlamento, per finanziare il quoziente si aboliscono le detrazioni familiari, per molte famiglie con figli si verificherebbe il paradosso di un peggioramento (è il caso non infrequente di due coniugi con reddito analogo, ad es. due impiegati, e con figli: costoro beneficerebbero in misura minima del quoziente, mentre perderebbero interamente le attuali detrazioni familiari).
Va detto però che il quoziente può essere costruito con accorgimenti che riducano o eliminino alcuni dei citati limiti; l’Isfol, ad es., ha ipotizzato di recente un quoziente che, nell’attribuire ad ogni familiare a carico un peso dimezzato (0,5) rispetto al familiare percettore (peso 1), determina un implicito vantaggio alla donna che entra nel mercato del lavoro o, che è lo stesso, uno svantaggio per chi ne esce. Allo stesso tempo, l’attribuzione del peso pieno ai soli percettori avvicina l’impianto familiare a quello individuale, attenuando in un certo senso la forte divergenza di opinioni sul tema.
La rivisitazione dell'Irpef individuale
A partire dai limiti del quoziente, l’altro filone, più attento agli individui, anche quando all’interno di una famiglia, vorrebbe muoversi nell’ambito di un’Irpef progressiva individuale, ma liberata dal compito di effettuare il sostegno ai carichi familiari. Questa funzione sarebbe svolta da uno strumento unificato di tipo assegno familiare, opportunamente esteso ad ogni tipologia di famiglia, a prescindere dalla natura del reddito prevalente (dipendente, pensionato, autonomo, altro).
Tra i vantaggi di questo approccio ci sarebbero i seguenti aspetti:
- l’unificazione dello strumento di intervento renderebbe unica la nozione di famiglia e di reddito di riferimento per graduare l’intensità dell’assegno;
- si supererebbe il problema della “incapienza”, cioè l’impossibilità per i più poveri di beneficiare delle detrazioni Irpef per insufficienza del reddito e quindi dell’imposta da cui detrarre l’importo; l’assegno sarebbe erogato a tutti i nuclei aventi diritto, a prescindere dalla capienza del reddito;
- in un alveo individuale dell’imposta personale, sarebbero introdotti elementi di valutazione e corresponsione “familiare”, con un avvicinamento alle tesi di chi vuol dare rilievo alla famiglia ed al suo tenore di vita;
- essendo l’assegno uno strumento extra tributario, l’aggancio al reddito di riferimento può essere più completo ed efficiente di quello fiscale; si potrebbe ad esempio utilizzare l’ISEE (volgarmente detto riccometro) già ampiamente usato per la graduazione della partecipazione ai servizi pubblici, o una sua evoluzione.
I sostenitori del quoziente imputano a questo approccio il limite di non rendere neutrale la tassazione tra nuclei familiari dalla stessa composizione e di uguale reddito: una famiglia monoreddito, ad esempio, pagherebbe sempre più imposte di una bireddito con la stessa composizione e lo stesso reddito familiare (che però sostiene indubbiamente oneri finanziari maggiori per la cura della casa e dei figli, avendo meno tempo libero).
Come si vede, esistono ragioni e valori per preferire questo o quell’approccioal tema del sostegno ai carichi familiari, anche se una parte delle divisioni appaiono superabili con approcci non ideologici. Sarebbe comunque ora di superare la situazione attuale, disorganica e poco coerente con gli obiettivi da molti dichiarati.