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Aversa - Il Monastero di San Biagio e le monache benedettine di Maria Luisa Coppola

suore.jpgLa mia città, Aversa, è stata la prima contea normanna del Mezzogiorno, fondata nel 1030 da Rainulfo Drengot, prode condottiero insignito dal duca Sergio IV di Capua, signore di Napoli, in cambio dell’aiuto militare prestato. Le origini della storia normanna di Aversa si intrecciano con le vicende ecclesiastiche della nostra antichissima Diocesi (G. Parente, Origini e vicende ecclesiastiche di Aversa, 1858), originario borgo denominato “Sanctum Paulum at Averze”, costituito da S. Paolo, nostro protettore, cui è intitolata la superba Cattedrale, ricca di arte, tele ed oggetti preziosi.

E’ la città delle cento chiese, sede dell’Abbazia benedettina di S. Lorenzo e del Monastero di S. Biagio, la cui storia è fedelmente documentata nel “Cartario di S. Biagio”, un codice compilato nella II metà del XII sec. o agli inizi del XIII sec, in cui si leggono 69 documenti benedettini. Il testo originale, custodito gelosamente dalle monache, narra l’esistenza della prima Badessa, Riccarda (1043), che resse il Monastero “nel luogo detto campus S.Laurentii”, ”cenobium puellarum” intorno al quale si formò un “burgum sancti Blasi” (A. Gallo, Aversa normanna, 1938). La presenza benedettina ad Aversa viene riferita in tutti i più importanti studi degli storici aversani, dall’epoca normanna, attraverso tutti i secoli, specialmente nel ‘500, quando certamente il Monastero era fiorente, cenacolo di carità, arte e cultura; è altresì attestata la visita che il re Carlo III di Borbone fece alle monache nel 1734, al tempo della Badessa A.Trenca, donna di raffinata cultura. Le religiose non hanno mai abbandonato il convento, neppure nei momenti delle grandi calamità naturali e belliche, continuando ad assicurare ascolto, soccorso ed opere di carità ai poveri. All’inizio del XX sec. il Monastero, non vivendo più nell’agiatezza, diminuendo le vocazioni, ebbe una fase di decadenza. Le religiose da 120 passarono solo ad una decina ed alla Badessa M. Concetta de Pietro, in carica dal 1932 al 1952, toccò la ricostruzione di S. Biagio. “Ascolta, o figlio, gli insegnamenti del Maestro e piega l’orecchio del tuo cuore; accogli volentieri consigli dell’affettuoso padre e ponili vigorosamente in opera”: si legge nella “Regola benedettina” e le monache nell’“ora et labora” hanno messo al servizio la loro vita pregando silenziosamente per la comunità, privandosi della cura dei propri affetti familiari ma prodigandosi con gioia per tutti gli altri, con il cuore e con le mani, visto che nel tempo hanno sempre ricamato preziose tovaglie per la mensa eucaristica, finissime casule per i sacerdoti, ed anche unici e pregevoli corredi per le spose. Chi oggi visita il Monastero, trova sempre accogliente ospitalità ed il sorriso confortante delle monache (solo ventitré) che, nonostante l’età anagrafica piuttosto avanzata, hanno conservato un’anima candida. Una conversazione rassicurante, un momento di preghiera comunitaria alleviano l’animo e, ancora oggi e sempre, aiutano ad asciugare le lacrime di tante donne che alle monache chiedono conforto ed aiuto, nella certezza che tra donne (religiose e laiche) la comprensione dello stato d’animo femminile diventa condivisione. Il giorno 14 giugno 2005 c’è stata una grande festa, perché nella maestosa chiesa è avvenuta la Benedizione Abbaziale di Madre M. Cecilia Farina O. S. B., nuova Badessa del Monastero di S.Biagio. Madre Cecilia avverte su di sé la grande responsabilità a cui il Signore l’ha chiamata. Con animo lieto Gli ha dedicato la sua vita, non ha mai attraversato momenti di crisi e di sfiducia, per vent’anni non è mai tornata alla casa natale. Ora nel Monastero non si ricama più come un tempo, ma le monache si dedicano all’arte della ceramica, che è di pregevole qualità, ospitano alcune studentesse universitarie, intrattengono buoni rapporti con gli abitanti della città e con i tanti fedeli che, in alcune occasioni liturgiche, non fanno mai mancare la loro presenza affettuosa. Oltretutto, è bello venire in questo luogo senza tempo, stare in silenzio nel verde del magnifico chiostro, mettersi in ascolto della propria voce interiore, pregare con intensità senza essere distolti, protetti dallo sguardo premuroso delle monache che dimostrano, anche con la loro fisicità, che esiste un altro modo (assai meno conosciuto ed apprezzato) di esprimere le buone qualità femminili. “Da quanto tempo non ci sono nuove vocazioni?”, domando. “Da quasi trent’anni” mi rispondono. La crisi vocazionale è generale, in particolar modo quella claustrale. Il grandioso portone del Monastero di S.Biagio lentamente si schiude: fuori, nel cuore della città antica normanna, un brulichio di persone, un traffico sostenuto da vario schiamazzo, riporta bruscamente dal trascendente all’immanente, ma si esce corroborati, rassicurati. L’offerta quotidiana di sé è il senso della vita delle monache benedettine.

 

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