L’acqua, il liquido amniotico, racchiude lo svolgimento della
storia: la fonte di vita capita ne accompagni il termine, come sovente accade
in questi anni di enormi migrazioni marine. Il libro è del 1964, finalista allo
Strega e appena ripubblicato, ma è di decisa modernità per l’approfondita
indagine psicologica della protagonista, la quarantenne Lidia, e per quel dire
e non dire che accompagna le accurate descrizioni di realtà interiori ed
esteriori. Un’esposizione pittorica, direi. La memoria rimesta nel passato e,
dandogli nuova vita, ne integra anche gli aspetti che possono aiutare a
sviscerare la vera natura dell’oggi. Lo scalpellio delle frasi, di lieve
brevità, equivale a pennellate che si depositano qua e là sul quadro in
gestazione, fino a delineare ogni particolare del minimo dettaglio. Un marito,
Antonio, reduce da lunga prigionia di guerra in India, una figlia, Nina,
Ortensia, la creatrice di moda i cui prodotti Lidia commercializza,
accompagnano le sue routinarie giornate milanesi. E poi, grazie anche al suo
fascino con i clienti maschi, da dipendente ne diviene collaboratrice, brava ad
accostare colori e a creare bozzetti dimostrativi di abilità e buongusto. >>>continua>>>>
Di giorno, da vicino, trovava il Duomo massiccio e pesante, come
calcato in uno stampo. Allora andava dietro all’odore. Conosceva certi angoli
umidi sotto le pareti a picco, che a camminarci
guardando in terra i ciottoli muschiosi, tra lo sterco biancastro
impastato di piumette e coi piccioni alle gambe, dava l’idea di un sagrato campagnolo. Odore di campagna.
Inconsciamente alzò la mano nel segno
della croce, come usava dalle sue parti passando davanti alle chiese.
La conosciamo all’atto della partenza per Napoli verso don
Gennaro Esposito, grossista di tessuti presso il quale piazza gran parte della
merce. E già l’accompagnamento del marito al treno ricostruisce gli anni del
progresso industriale verso il boom con dettagli d’antan, marginali ma
caratterizzanti. Inizia il lungo viaggio nella notte. Nello scompartimento
trova due uomini seduti vicino al finestrino, e un’altra donna al posto sul
corridoio. Lei siederà nel posto mezzano vicino al meno giovane, avendo libero
quello a fianco. Il sonno tarda ad arrivare nel sedile di prima classe e si
affollano invece i pensieri. Poi esso arriva, inquieto, e, all’accadere esterno
di un fatto riprovevole, si desta di botto e poi esce di scatto dallo
scompartimento. Ha subito un volgare approccio sessuale dall’uomo vicino e,
dopo poco, scoprirà anche il furto di buona parte del denaro che Antonio ha
voluto portasse nella borsetta contro gli imprevisti. Alleata inattesa si
rivela l’altra passeggera che la spinge a chiamare il ferroviere di servizio e
a esporre in ogni particolare il fatto, ma questi non ne viene a capo. E lei,
la testa sempre dietro al fiume di ricordi, desiste, rimproverandosi per prima
per la propria inettitudine.
Era rimasta inchiodata alla parete del corridoio, in quello
stato di collera fredda che schiarisce il
cervello.
Ricordò perfino una raccomandazione di
Antonio, del tutto svanita dalla mente, che per ogni
evenienza in viaggio bisogna rivolgersi al
capotreno. Un ferroviere occupava il posto di servizio, lo scorse in fondo sul sedile di legno. Ma un
capotreno sarà fregiato di galloni,
meno accessibile al pubblico. E del resto ormai non poteva più rivolgersi a nessuno.
Il danaro dello stipendio di Antonio. Glielo aveva sempre restituito intatto, lui forse credeva che riscuotesse
un acconto dai clienti, parte delle
spettanze, o qualsiasi cosa credesse. Mai aveva tenuto in gran
considerazione quel danaro, con indifferenza lo prendeva e lo riportava senza servirsene. Appunto, lo
riportava. Non averlo più è diverso.
Provò un disagio acutissimo.
Lidia la approfondiamo così, frammento dopo frammento, intrusi sbircianti
nelle foto del passato che continuano a scorrerle innanzi agli occhi, e delle
quali diveniamo parte conoscendone ogni aspetto attraverso la scrupolosa
rivisitazione. È sbalzata in ogni aspetto più intimo dalla scrittura psicoanalitica
di potente livello della Bonanni. Un bell’album di famiglia nel quale lavoro,
affetti, amori, sono collazionati in ordine sparso ma non per questo meno
preciso e avvincente. E non solo il privato. L’intera società del tempo è
raffigurata in questa rassegna d’immagini che, intrecciandosi alle vicende di
Lidia, espone un’ampia tipologia di persone di alto ceto, ricche ed affermate,
specchianti al meglio quegli anni di rapida corsa con scarsi ostacoli verso il
benessere.
Le asperità incontrate nel matrimonio sono, però, ostiche a
lasciarsi sopraffare. I lunghi anni della prigionia di Antonio l’hanno abituata
all’indipendenza ed è duro ritornare alla compagnia fissa con il ritorno di
chi, per certi versi, è divenuto un estraneo. Un lungo periodo di reciproco
riadattamento con un lui non più a posto, come è giusto che succeda per chi ha
trascorso anni tra pesanti rinunce e sacrifici di vita in un internato militare
carcerario. Anche lei però ha sofferto. Ed ecco riprendere vita l’aborto di
guerra, un incidente di percorso dopo l’incontro con un biondo e giovane
tedeschino che, prima di lasciarla dormiente al mattino, riempie il cucinino di
doni alimentari, meglio di un gioiello per quei tempi. Ogni cosa accade sempre
nella sua doppia faccia, bella e brutta.
L’affollarsi dei ricordi di guerra diviene martellante, alla
stregua dell’ossessivo tonfo sui binari del treno che la porta verso il giorno,
verso l’amore in attesa che, al momento, non ha effetto alcuno mentre gli assalti
reiterati della guerra assassina non smettono di ricordare che anche lei ha
molto patito nella città vittima di bombardamenti. Non sa dire se quanto
Antonio, ma certo non tanto di meno. Un conforto inatteso giunge da una
ragazzina sperduta che va a farle da compagna e da serva ed ha destrezze
nascoste che aiutano a superare la fame nell’attesa di un domani migliore. E
conosciamo fin troppo bene, da mille testimonianze, quanto il degrado morale
abbia accompagnato quello fisico nei lunghi anni dell’ultima guerra.
Infine, tra un brandello di sogno-incubo e l’altro, come che sia
arriva a Roma. Sulla panchina c’è Norman ad aspettarla, è lui il jolly del
momento. Lui l’amante in carica. E lì, nel bagno di un diurno per lavarsi dello
sporco causato dalle visioni e di quello reale,
la colpì l’idea di aver
passato in rassegna la propria vita come dicono che avviene prima di morire. La mia vita sessuale, corresse con
recondita intenzione superstiziosa. Curioso tranello del subcosciente, di aprire la memoria a scatole cinesi,
una dentro l’altra, fino all’ultima
più segreta, il senso di colpa. Un altro complesso? Vai dallo psicanalista, si consigliano tra donne, come
in passato vai dalla chiromante.
Mamma andava a confessarsi. (…) Riemerse un incidente di scuola, della
scuola elementare o forse dell’asilo, il suo primo come si dice trauma
infantile. Paura che le venisse da andare al
gabinetto. Naturalmente le viene, troppo
tardi chiede di uscire, succede in mezzo all’aula. Ed era tanta, scrosciava, dilagò, fece rivoli: chiuse gli occhi
e si mise a urlare. Anche Nina una
volta era tornata bagnata, non si potette strapparle una parola. Sai che ne ricaverebbe uno psicanalista da
storie simili (le amiche di Ortensia, Freud a orecchio). Questo pasticcio di
scuole maestre pipì gabinetti. Rise
e lanciò nella tazza il mozzicone. Sentiva la testa formicolare sottopelle.
Nell’auto di lui proseguono per Napoli. Lei non è dell’umore
solito. La notte trascorsa l’ha segnata più di quanto pensasse. Arriva a
rifiutarglisi in un approccio all’aperto, non riesce a scaldarsi. Qualcosa
dentro si è scompensato senza avvisarla. Norman informa che, invece del grande
albergo, andranno nella casa di un amico. Un altro disorientamento, le piace
abbandonarsi alle cure della servitù degli alberghi di lusso. Arrivati nel primo
pomeriggio, la lascia da don Gennaro con un appuntamento per più tardi. Lidia
ripiomba nel mondo dell’anziano grossista, che trova senza moglie né figlie
andate a un pellegrinaggio vicino, e, in antica confidenza con il vecchio,
entra subito in sintonia con il suo carattere, untuoso ma paterno ed
affettuoso.
Poi con Norman, passeggiata per Toledo, cena in riva al mare,
lungo via Caracciolo, Chiaia, assorbendo l’anima rumorosa e stramba della città
in compagnia del sogno dichiarato di lui di portarla via per sempre in Sicilia
solo per sé. Una prolungata pausa subconscia in attesa del coraggio di
ritrovarsi soli. Ed eccoli nell’appartamento dell’amico. Poi tutto si sospende,
prima di qualcosa che cambierà tutto riportandoli al punto di partenza… via
Rosaroll è in attesa.
Lidia, dunque, contrabbanda l’amante tra le ragioni di lavoro e
inganna il fedele Antonio. Non le pesa più di tanto. I sei anni di prigionia
del marito l’hanno addomesticata a staccarsi da lui, l’ha fatto più volte, la
vita poi ha inflitto la severa lezione che nulla mai può avvilupparci del
tutto. Non sa se è davvero felice ma si abbandona nella corrente, e certo oggi
non è affatto infelice. I tempi cattivi appaiono passati, comunque può fidare
su due uomini al fianco e quanto non le dona l’uno può sempre aspettarselo
dall’altro.
Laudomia Buonanni (L’Aquila 1907 – 2002) è una scrittrice
intimista, prolifica, vincitrice dei premi Bagutta e Viareggio alla fine degli
anni ’40. In questo lavoro non molti i dialoghi. Tutto si gioca sul filo sottile
del ricordo che tesse le vicende, presenti e passate, dando loro quel taglio
personale che ben ci addentra nel complesso animo femminile della protagonista.
Lo stile, moderno come detto, è piacevole e lascia meditare il lettore lungo le
strade dei pensieri di Lidia. Il lavorio mentale che si scatena arriva a farci
meglio penetrare la realtà che ci circonda. Questo non è certo un pregio di
molti narratori, anche contemporanei. L’esergo del romanzo, preso da Ralph
Emerson (Boston 1803 – 1882), recita:
Le cose stanno in sella e cavalcano l’umanità
ennesima conferma, non
superflua, di quanto labile sia il potere posseduto dall’uomo.