Donne maltrattate, oltraggiate,
uccise con una brutalità selvaggia: è triste storia di tutti i giorni, quasi
un’epidemia che dilaga in ogni paese, in
ogni regione. E’ stato coniato il sostantivo “femminicidio” ad indicare che la
femmina – altro da maschio – è un oggetto nelle mani dell’assassino che si
libera della sua presenza fastidiosa. Che brutti tempi viviamo! >>>continua>>>
Il rispetto dell’alterità e della diversità solo
teorico, l’indifferenza nei rapporti interpersonali una costante, mentre si
crede che la globalizzazione abbia unito, in realtà l’umanizzazione è stata
infangata dalla violenza gratuita. Una donna come una Barbie: si acquista, si
usa, si smonta e si getta con disprezzo dei sentimenti ed il tanto urlato e
conclamato amore diventa una trappola di schiavitù che imprigiona le vittime ad
opera di malvagi disturbati psichicamente. Altri tempi si favoleggiano, quando
si raccomandava di non sfiorare nemmeno con un fiore la donna, che gli uomini
da cavalieri avessero comportamenti galanti ed educati, quando la mater
familias era una rispettabile signora, vestale della casa. A furia di
considerare le veline e le attricette icone del nostro tempo, mettiamo sotto
silenzio le donne che con intelligenza e tenacia compiono il loro dovere nelle
professioni e nelle arti, in politica come nelle aziende, dimentichiamo
rapidamente il sacrificio di chi lotta per la libertà come Aung San Suu Kyi in
Birmania, premio Nobel per la pace, il martirio di missionarie laiche come
Annalena Tonelli, il
tenace studio delle donne teologhe e l’apostolato delle crocerossine…e la lista
è lunga di donne-donne valenti, coraggiose ed altruiste C’è un proverbio orientale che dice:
“Sei in una notte nera, su una pietra nera, c’è una formica nera, Dio la
vede e la ama”. Piacque tanto a Marta, che se lo trascrisse su un
taccuino. Marta lavora in una grande fabbrica di scarpe del Nord Ogni tanto
viene a Molfetta per trovare sua madre che vive in un cronicario e il fratello
più piccolo rinchiuso nel supercarcere di Trani Un giorno mi disse che non ce
la faceva più. Non per i soldi. Di quelli, anzi, gliene avanzavano. Ma per la
qualità della vita che il destino le aveva imposto. Costretta a bullonare
tomaie tutto il giorno, lei che si era diplomata al liceo artistico col massimo
dei voti, si sentiva solo una scheda perforata. Un numero di matricola. Una
donna senza volto, meno valida della busta paga che riceveva il 27 di ogni
mese. Non aveva neppure trent’anni, ma le pareva di essere più vecchia di sua
madre. Anche sua madre, del resto, era una cifra. Un cartellino collocato sulla
carrozzella, sospinta nell’incrocio di altre cinquanta carrozzelle
dell’ospizio.” Così il grande Vescovo
don Tonino Bello raccontava invitando i
cattolici a sostenere il valore della vita e la dignità delle donne. Un impegno
che noi dobbiamo manifestare
appieno e in ogni dove.