Era un Natale di tanti anni fa. Quando le luci dell’albero erano lanterne colorate illuminate da lampadine mignon e le decorazioni erano sfere di vetro soffiato che venivano sospese ai rami di un abete “vero”con le graffette da ufficio.
Era il tempo in cui l’unico materiale che non fosse metallo si chiamava celluloide.
Era il mondo della nostra infanzia in cui i doni più “tecnologici” erano pupazzi di stagnola colorata costituiti da due gusci aggraffati fra loro che miracolosamente prendevano vita grazie ad una molla piatta caricata ruotando una chiavetta. >>>>
E’ trascorso molto tempo da allora, forse troppo se è vero che ormai si disquisisce del codice etico delle macchine.
Per oltre mezzo secolo, visionari hanno immaginato robot che somigliassero a noi, che lavorassero come noi, che percepissero il mondo, lo giudicassero, e compissero azioni di propria volontà. La moderna scienza militare sta tentando di portare la pace con macchine guidate a distanza che inseguono e uccidono. La prospettiva di armi autonome ovviamente pone delle problematiche etiche. Chi è disposto ad essere moralmente responsabile per un crimine di guerra automatizzato?
Poi è avvenuto l’inquietante incontro fra macchina e mondo organico con la nascita del topo controllato a distanza. I topi sono animali da laboratorio ideali perché gran parte di ciò che può esser fatto a loro può esser trasferito ad un essere umano. Quindi questo topo-robot, la cui direzione di movimento può essere determinata da una persona con una trasmittente, evoca un mondo d’incubo dove la dignità umana è violata,
L’ultima frontiera è la reazione umana alla presenza dell’umanoide. Il nuovo prodotto ha sembianza umana, è un pupazzo autoalimentato che può camminare, parlare, stringere, e catturare immagini, e non è meno etico di un copertone d’acciaio. Nel suo classico del 1950, Io, Robot, Isaac Asimov immaginò per la prima volta le macchine come soggetti dotati di morale. La macchina realizzata di recente, invece, non sa niente e impropriamente programmata, potrebbe sparare, incendiare edifici e saltellare in un’affollata area commerciale per autodetonarsi urlando slogan politici. Da quando Karel Capek introdusse il termine con la sua opera Rossum’s Universal Robots nel 1924, i robot sono stati il nostro teatrale tentativo di vestire la tecnologia di una forma umana ed incarnano il nostro istintivo desiderio di rendere la tecnologia un amico o forse un sosia, ma comunque qualcuno, nell’antico desiderio di simulare il miracolo della creazione.
Mi sovviene di un film di qualche decennio fa in cui una donna robot, sconvolgendo tutti i codici di programmazione, s’innamora del suo padrone umano rendendo problematica la sua vita quotidiana. E’ forse questa la risposta all’antico desiderio di essere certi del possesso della propria donna?
Questa sera, nella magia di una stanza nascosta sotto un tetto, con il cielo che domina attraverso i lucernari, guardo una chioma bionda e mi smarrisco nel mistero dei suoi occhi enigmatici, mentre un pensiero improvviso mi sconcerta: e se fosse di latta…? Questa sera… preferisco che non lo sia!