Ci hai provato, Barack,
e hai vinto.
Davanti al sole
d’un’unica notte
comune
come figlio superstite hai vinto.
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Puledro nero
dall’anima rosa
in cieli difficili come fulmine hai vinto.
Hai vinto
come oro nel buio,
come coccinella destata
alla scoperta del volo, come ape industriosa
inventata
da un pulviscolo di sogni.
Tu
hai vinto
sulla carestia delle nostre speranze,
nella porpora delle tue parole,
denudando la vista a chi sa.
Hai vinto
per noi contro di noi, che siamo
bottegai dell’esistente, salvadanai scientifici,
che hanno perso speranza nella verità delle fiabe.
Tu
hai vinto per te stesso e per noi
e per i padri
torturati dal cotone
e dall’umiliazione di essere appestati,
non contro i loro nemici
ma in nome della scintilla universale
che in loro riposa.
Hai vinto
ridando vita a morte parole,
vergognose di semplicità.
Chi ci disse
che vincono sempre gli stessi e che il banale trionfa sempre?
Chi ci disse
che il ventre è sempre più forte dell’onore?
Chi ci disse
che il sogno è solo un trucco dei neuroni? Chi ci disse
che chi vola alto dormiva,
che l’anima è una provincia degli ubriachi,
che la madre degli idealisti è sempre incinta?
Molti calcolatori del certo,
tutte le cavallette del presente
e i sarti dell’ovvio
ora risorgeranno, Barack, in segreto contro di te.
Sotto mentite forme
lavoreranno da subito
per la vittoria del grigio.
Perché il grigio vinca sempre,
perché il possibile sia sbugiardato
e il passato sia immortale
alla gloria di chi da sempre già sa.
Noi adesso preghiamo, Barack,
noi stessi
perché l’uragano delle nostre speranze
non ti schiacci: troppo ardua
è la luce svegliata
dal crepaccio e dalla vertigine del buio.
Ci hai provato, Barack,
e hai vinto,
e non avevamo capito
che questa volta si trattava di noi.
Noi non sapevamo
che l’impossibile è la cassaforte di chi sa
e che il possibile
è il pulcino invisibile e gramo,
che lo becca da dentro,
da sempre,
per poter uscire in un giorno incredibile alla luce.
Forse ci hai dimostrato, Barack,
contro le matematiche certezze
dei calcoli
che più del macigno è il possibile
e che incalcolabile è la sua verità.
Tu ora forse ci insegni
senza saperlo
che l’incredibile è il fondamento della fede,
tu che colori in un baleno il mondo
con le speranze dei padri
che non cessarono di credere, in fila sepolti
sotto le mura del pianto.
Ora
forse il cielo è possibile:
è mutato lo statuto dei colori
e il nero è il mattino appena nato
e il pigolio dei bimbi nuovi
e l’innocenza dell’aquila
e l’umiltà dei figli tempestata
della gloria povera dei padri
e l’ala della piccola rondine
che buca l’orizzonte dell’attesa
e il nero della fiamma
che si cela nel segreto
del calore più alto
e squarcia il mondo
e apre al rosso dell’anima rubata.
Anche la nostra singola morte,
Barack, è banale
davanti alle stelle dei padri,
ora che sappiamo
che l’impossibile ha una segreta cruna d’ago
in cui alla fine
di generazioni in ginocchio
passarono quelli
che ebbero fede nel dolore.
Tu, Barack,
hai vinto
nella porpora delle nostre speranze
come farfalla svegliata
dalle labbra dei padri.
Noi ci vedemmo in sogno
e lì scoprimmo
forse
di non aver solo sognato.
Da ora
il possibile è vero.
Sono andate a ruba le fiabe.
Nel piombo è fiorito.
Ora ci spetta
osare il filo d’oro che ci guida.
Siamo cercatori d’un sole
in cui il vero è possibile.
Siamo curiosi di un mondo che altri vedrà.