Stefano Spadoni, giornalista, consulente ed esperto in pubbliche relazioni, da più di dieci anni si è trasferito in America, dove ha fondato un network con il quale riesce a creare sinergie e contatti tra gli italiani, residenti o in visita, e gli americani, spesso organizzando serate evento frequentatissime alle quali si presenta accompagnato da un manipolo di modelle che gli fanno da scorta. Come giornalista è stato, tra l’altro, corrispondente di Radio 105 e Radio Monte Carlo e ha scritto libri sull’America tra cui “New York, terrorismo e antrace” (Rizzoli Bur) in cui racconta la reazione della città dopo l’attentato dell’11 settembre. Proprio nei giorni scorsi è uscito negli Stati Uniti “Vado a vivere a New York” (disponibile anche in Italia tramite Internetbookshop), che è la riedizione, ampliata e aggiornata, di un libro dallo stesso titolo pubblicato nel 2001 da Rizzoli e considerato la Bibbia per trasferirsi negli USA. Un mare di dritte e informazioni per chiunque vuole rimanere per un lungo o breve periodo in America o anche solo aggiornarsi su come vanno le cose da quelle parti al di là delle notizie spesso parziali diffuse dai media. Viste queste sue caratteristiche ci è sembrato la persona ideale per cercare di chiarire alcuni aspetti del rapporto – sempre problematico, spesso conflittuale – tra Italia e America, anche alla luce delle polemiche innescate da una recente corrispondenza sull’Italia comparsa in prima pagina sul New York Times
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— Avrai letto senz’altro l’articolo del NYT, che tanto ha fatto parlare in Italia. Senza acredine, anzi con quel velo di simpatia che gli stranieri manifestano spesso per gli italiani genialoidi, fantasiosi e un po’ casinari, Ian Fisher ha fatto una radiografia all’Italia e ha diramato un bollettino medico: la diagnosi è severa, la prognosi non lascia molto spazio alla speranza. Siamo un paese fermo e triste, in cui la produttività scende invece di salire, una nazione sempre più vecchia e più povera. Tu conosci la nostra situazione perché torni spesso in Italia, come ci vedi? Fisher ha torto o ragione?
Ti dirò che io me ne sono andato perché non sopportavo già allora certi difetti tipici del sistema italiano. Sono uno di quegli italiani che sono riusciti, al contrario di molti che non ce la fanno per problemi di visti e di burocrazia, a lasciare l’Italia perché ne avevo le scatole piene. Scatole piene della politica, delle mafiette, delle raccomandazioni, di un fisco che ti strozza se vuoi fare l’imprenditore, di una società che ti odia se hai sogni. Scatole piene di cantautori che ce l’hanno fatta perché avevano la “tessera del partito” e chi la “tessera” non l’ha voluta prendere non riesce a cantare neanche nei piano bar. Stanco di un sistema sociale dove essere bravo non conta nulla e che ti segue “dalla culla alla bara” (nel senso che se non hai conoscenze o non paghi la tangente a qualcuno in molti cimiteri puoi aspettare settimane prima di poter seppellire un parente). Stanco di un paese in cui se ti rompi una gamba pensi a chi può farti conoscere qualcuno in ospedale perché tutto dipende da quello e non dal Servizio sanitario.
— Da quando sei partito trovi che le cose da noi siano migliorate o peggiorate?
Faccio parte dei molti italiani che se ne sono andati ma che amano il loro paese d’origine, e per questo quando ci tornano resistono al massimo quindici giorni (è la battuta sulle labbra di tutti a New York) perché l’Italia, come diciamo qui, è un paese bellissimo per andarci in vacanza ma un incubo dopo che hai provato l’America. Ti butta giù il morale, ti fa arrabbiare, ti lascia l’amaro in bocca per le possibilità che avrebbe se potesse godere della stessa libertà d’impresa e di opinione che esiste negli USA. A me pare che gli unici sorrisi che si vedono in Italia siano quelli dei politici, mentre la gente qui in America lavora molto ma poi è sempre fuori a divertirsi, e se alcuni corrispondenti smettessero di tradurre in italiano solo le notizie negative di CNN e descrivessero l’America come è, la gente in Italia magari si sveglierebbe e chiederebbe di cambiare le cose. Quanto a sicurezza mi sembra che l’Italia stia sempre più diventando come il Bronx degli anni 70, e non parliamo dei continui scioperi e disservizi di cui ti dimentichi vivendo in America.
— Sono parecchie le persone in Italia che hanno reagito alle critiche del New York Times rinviandole al mittente, come ad esempio ha fatto Maurizio Cabona in un articolo su “Il Giornale” intitolato “Da che pulpito parte la predica” in cui si scaglia contro gli americani dicendo che se noi siamo tristi loro sono un paese senza gioia e pieno di detenuti (ne avrebbero sei volte più che nell’Unione Europea, che ha cento milioni di abitanti in più; su trecento milioni di cittadini, due milioni e trecentomila sono detenuti – in proporzione è come se l’Italia ne avesse quattrocentomila. Tra i detenuti di età tra i 25 e i 29 anni quelli di colore sono 8 volte più dei bianchi). Personalmente non lo trovo un modo molto intelligente di reagire alle critiche: quello che dovremmo fare è cercare di capire se i problemi che Fisher ci attribuisce esistono o meno, se poi l’America ha altri problemi magari più gravi questo non ci aiuta a risolvere i nostri. Ma in ogni caso, cosa pensi di quell’articolo?
Non è che io sia innamorato dell’America al punto da non riuscire a vedere le cose storte, che pure ci sono. Però mi stupisce vedere un articolo come quello di Cabona o sentire il testo di una canzone come quella di Finardi (“America troia/senza gioia”), a cui lui si è ispirato. Beninteso, anche qui c’è chi canta di un’America negativa (è un modo per fare soldi, perché molti nel mondo la vogliono vedere così) ma continua a viverci allegramente compresi i vari Michael Moore e Robert Redford, e se alcuni emigrano è solo perché le tasse qui non risparmiano nessuno. Quanto alle statistiche sui detenuti mi riservo di controllarle ma faccio notare che qui i condannati li tengono dentro, non fanno indulti per farli tornare in circolazione.
In America si pensa che chi commette un crimine ed è stato condannato debba stare in prigione, ad esempio qui uno stupratore finisce in carcere per anni e può persino prendersi l’ergastolo, non come in Italia dove si pensa che debba uscire al più presto possibile e se fa un anno di carcere effettivo vuol dire che il suo avvocato era davvero un incapace. E tra i 2 milioni e 300.000 in prigione ci sono anche gli evasori fiscali e i dirigenti disonesti di grandi multinazionali, che scontano le condanne anche se sono miliardari in dollari, cosa inimmaginabile in Italia. I responsabili di terribili crack finanziari che in Italia hanno rovinato qualche centinaia di migliaia di risparmiatori sono felicemente a piede libero, il signor Cabona dovrebbe spiegarmi perché.
E parlando di libertà, in America può accadere che uno studente vada regolarmente a scuola indossando una maglietta con la foto di Bush e la scritta “terrorista internazionale” e nessuno gli dice nulla, vorrei vedere cosa accadrebbe se lo facessero in Italia con le foto di Prodi o di Napolitano. Per non parlare dell’ordine dei giornalisti che qui non esiste ma a cui in Italia devi essere obbligatoriamente iscritto se vuoi aprire un giornale, cosa che quando ne parli con gli americani ti guardano con gli occhi sbarrati e ti chiedono se l’Italia è davvero una democrazia.
Quanto alla sicurezza, la prima reazione di una ragazza italiana che viene a vivere a New York è quella di stupore al fatto che può tornare a casa alle 2 di notte in metropolitana e che se chiami un’ambulanza o la polizia arrivano in pochi minuti. E il servizio postale che funziona ad una frazione del costo italiano? E gli esami medici che puoi fare il giorno dopo che te li hanno prescritti? E il fatto che hai tutti i diritti anche se sei un barbone? E che se sei bravo a scuola ma figlio di un nessuno vai avanti a borse di studio fino a laurearti in una prestigiosa università e trovi lavoro già sei mesi prima della laurea, senza la raccomandazione dello zio onorevole? Tutte cose di cui parlo nel mio libro e che certo lo renderanno sgradito a chi ha solo piacere di denigrare gli Usa.
— Vorrei farti un’ultima domanda. Il Presidente Napolitano, che si trovava in America in visita ufficiale proprio nei giorni in cui veniva pubblicato l’articolo di Fisher, gli ha risposto bollando le sue critiche come esagerate e assicurando, comunque, che se è vero che diverse cose non vanno molto bene qui da noi, ci salveranno i nostri “animal spirits”: Che ne pensi?
Sui giornali italiani appaiono ogni giorno critiche anche feroci all’America e alla sua politica; in America quasi nessuno le legge e nessuno risponde anche perché molti giudicano l’Italia un paese felliniano con un sistema sociale e politico incomprensibile. Tra l’altro vorrei far notare che la critica viene da un quotidiano sistematicamente critico degli Stati Uniti (specie dell’amministrazione Bush) e con posizioni decisamente filo-europee e di sinistra, insomma un giornale che non dovrebbe dispiacere a Napolitano.
— Ma in definitiva, questi “animal spirits” keynesiani di cui ha parlato il nostro Presidente, riesci a vederli dal tuo osservatorio americano?
Francamente ho qualche difficoltà. Forse ci sono ma coperti dai soliti difetti italiani: orgoglio nazionale, belle parole, concetti superiori, citazioni e puzza sotto il naso perché “noi siamo superiori con i nostri 2.500 anni di storia”. Ma intanto sono più di dieci anni che sento dire che la ripresa in Italia sta arrivando e poi scopri che l’Italia negli ultimi quindici anni ha avuto la crescita più bassa di tutto l’Occidente. L’unica cosa che cresce sono i prezzi, mentre i giovani migliori se ne vanno all’estero e anche gli investimenti ormai si spostano da queste parti. Lo vedi anche dal fatto che da un po’ di tempo gli italiani ricchi stanno comprando case a New York come se fossero T-shirt.
— Quindi pessimista al cento per cento? Non ci sarebbe un modo per superare questa situazione?
Dovreste proprio cambiare strada, cosa un po’ difficile. Oppure fare un accordo con gli Stati Uniti per permettere agli italiani che lo vogliono di emigrare liberamente quaggiù, così la popolazione sana se ne andrebbe e resterebbero i politici e i raccomandati a piangersi addosso. Forse per questo i politici italiani non hanno mai fatto niente per facilitare l’emigrazione negli Stati Uniti trattando gli emigrati a pesci in faccia, come racconto nel mio libro, persino privandoli in alcuni casi dei loro diritti di cittadini e dei servizi consolari.
— Non possiamo andare tutti a vivere a New York.
No, mi dispiace per voi.