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Contrastare l’Effetto Serra Luigi Alviggi

effetto%20serra%20alviggi.jpgTutti noi conosciamo ormai nei dettagli le perniciose conseguenze dell’effetto serra. L’enorme aumento dei consumi di combustibili fossili (benzina, gasolio, gas, carbone e simili) produce sì facilmente energia ma rilascia nell’atmosfera, come risultato della combustione, grandi quantità di anidride carbonica (CO¬2). La molecola di questo gas, aumentato in percentuale nell’aria in maniera vertiginosa negli ultimi decenni – siamo passati dalle 280 parti per milione (ppm) dell’epoca preindustriale alle attuali 380 ppm – ha la caratteristica di ostacolare il rilascio di calore da parte della superficie terrestre che, quindi, tende a surriscaldarsi. È come se un invisibile velo coprisse l’intera terra e la riscaldasse in maniera indesiderata. Allo stato le quantità di CO¬2 aumentano di 2 ppm per anno.
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In Italia la dipendenza dall’estero supera l’80% delle necessità energetiche del paese, triste primato in Europa e tra i primi nel mondo. Tra qualche anno, inoltre, la disponibilità, e dunque la produzione di petrolio, dovrebbe cominciare a calare. Dei circa 3.000 miliardi di barili disponibili in origine – un barile è poco meno di 160 litri – ne abbiamo finora consumato oltre un terzo, ed è stato anche quello più facilmente sfruttabile. Oggi nel mondo occorrono più di 25 miliardi di barili all’anno. Il ricorso a forme di energia alternativa appare perciò improcrastinabile. La prima, e più semplice, forma di intervento è la riduzione degli sprechi esistenti. Oltre la metà dell’energia prodotta alla fonte va persa nelle fasi di conversione e sfruttamento: obiettivo primario sarà il ridurre in misura consistente tali perdite. E questo principalmente nei motori di autoveicoli, nel condizionamento dei fabbricati, nella illuminazione pubblica e privata, nei consumi domestici, nella produzione di acqua calda. L’Italia ha firmato il protocollo di Kyoto nel 1998. Immette attualmente nell’atmosfera oltre 220 milioni di tonnellate di CO¬2 all’anno – dei circa sette miliardi di tonnellate a livello mondiale – quota che dovrà ridurre di oltre il 20% entro pochi anni. La questione è ardua. Gli Stati Uniti, da soli, sono responsabili per circa il 30% delle emissioni globali. Il problema assume dimensioni apocalittiche se si pensa che lo sviluppo futuro, auspicato per ciascuna nazione, richiederà quantità sempre maggiori di energia, in particolare da parte dei colossi asiatici emergenti, Cina ed India. E più energia equivale a dire più inquinamento e più effetto serra. Nel 1987 in Italia si svolse il referendum abrogativo sul nucleare. In 20 anni lo sviluppo di questa tecnologia ha compiuto passi da gigante. Sarebbe il caso di rivedere questo aspetto della produzione di energia, dati i costi attuali del petrolio (circa 100 dollari al barile), e dato anche il fatto che noi importiamo grandi quantità di energia elettrica, prodotta in impianti nucleari, dalla Francia. Le centrali francesi risiedono in gran parte sull’altro versante delle Alpi. Se ricordiamo cosa successe con l’incidente di Chernobyl – nel 1986, ad oltre 1.500 chilometri di distanza – è facile capire che il non avere centrali nucleari sul territorio nazionale non ci assicura l’essere indenni da disastri terrificanti. Ed, attualmente, le nuove centrali nucleari sono di gran lunga più sicure di quelle di infausta memoria: la detta Chernobyl o la Three Mile Island, negli Stati Uniti. Raddoppiare la produzione di energia nucleare nel mondo significherebbe risparmiare un miliardo di tonnellate di CO¬2 immesse nell’aria ogni anno (circa il 15% del totale), il che davvero non è poco. Oggi esistono anche metodi per riprocessare parte delle scorie radioattive, utilizzandole in tipi diversi di reattore, e riducendo così drasticamente le quantità di materiale da stoccare in luogo sicuro. Speranza riposta dell’umanità è, poi, il costruire reattori a fusione nucleare, lo stesso processo che avviene nel sole e nelle altre stelle. La fusione non lascia alcun tipo di scoria radioattiva, e sarebbe l’optimum per tutti noi. Allo stato sono in corso studi per rendere controllabile ed utilizzabile tale processo, di difficile approccio date le elevatissime temperature e pressioni necessarie per innescare la fusione. Tra i tanti modi per ridurre la parti di anidride carbonica in atmosfera, si sta anche pensando alla tecnologia CCS (Carbon Capture and Storage = cattura ed immagazzinamento della CO¬2). Questa tecnica consiste nel catturare gran parte della CO¬2 all’atto della sua stessa produzione – per esempio nelle centrali termoelettriche, cioè alimentate da combustibili fossili – e costringerla in luoghi dove può essere immagazzinata permanentemente nel sottosuolo in tutta sicurezza. Si può trattare di giacimenti petroliferi già sfruttati, oppure di particolari strati geologici, permeabili e in grado di non rilasciare il gas sequestrato anche se soggetti ad eventuali terremoti. Grandi cose si attendono dalle fonti rinnovabili di energia: eolica, solare, di marea. Anche l’uso di biocarburanti – carburanti cioè derivati da colture vegetali, tipo la canna da zucchero o il granoturco – quali l’etanolo, il comune alcol etilico, può ridurre considerevolmente le emissioni di CO¬2. Ancora, l’utilizzo di idrogeno come combustibile ha il vantaggio di avere emissioni nulle e, dunque, di non inquinare affatto. Il motore ad idrogeno emette soltanto innocuo vapor acqueo. La soluzione è ideale e la BMW ha già sviluppato dei prototipi, e promette di iniziare a vendere automobili ibride entro l’anno prossimo. Inconvenienti per questa soluzione sono l’alto costo attuale di produzione dell’idrogeno e l’onerosità economica del creare una sua efficiente rete di distribuzione agli utenti. Le tecniche che si affermeranno nel futuro per ridurre le quantità di CO¬2 nell’atmosfera, chiaramente, saranno quelle a più basso costo e con sufficiente affidabilità di utilizzo. È ovvio che non abbiamo più tempo per disquisire se bisogna farlo o meno, ma è piuttosto l’ora di intervenire quanto prima possibile: l’obiettivo primario è il non superare – per la metà del corrente secolo – le 450 ppm di CO¬2 nell’atmosfera. Altrimenti, i processi di degrado ambientale potrebbero divenire irreversibili: lasceremmo ai nostri figli un pianeta menomato per sempre!!


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