Per me Aversa è come la Rimini di “Amarcord” di Fellini. Certo oggi è parecchio cambiata, più estesa, popolosa di persone ed automobili, ma quando venivo da bambino a festeggiare il Natale mia nonna comprava ancora diversi generi alimentari calando dalla finestra il cestino con la corda al venditore, che aveva il carro con l’asinello….
Non dimenticherò mai quello stupendo palazzo della famiglia Golia, dove mio padre è cresciuto, con quei soffitti altissimi tutti affrescati e le porte delle enormi stanze che si aprivano una appresso all’altra in linea retta, l’enorme tavolo ovale dove si stava tutti insieme, numerosa famiglia di zii e cugini, il giardino pensile profumoso di fiori d’arancio, il grande cortile con la fontana dove ci sfrenavamo a giocare, e dove altri profumi ti solleticavano la gola, quelli della pasticceria Leccia, che ora non c’è più. E non dimentico neanche quella volta che stavo in via Roma, e passava la Madonna di Casaluce, e una donna con tre bambini, reggendo il più piccolo con un braccio e con l’altro una caraffa per la birra piena di pane e latte, imboccandolo gli diceva: “mangia,bell’e mammà, perchè oggi non c’è altro”. Rimasi malissimo, mi veniva da piangere… io ero nato a Torino, nessuno mi aveva mai detto niente di simile… ero un bambino fortunato, ma neanche me ne rendevo conto: io ero il figlio di un ingegnere, Guido, che laureandosi credo a tempo di record era “emigrato” verso il nord, dove aveva vinto un unico posto a concorso, primo tra cento… questo accadeva negli anni ’50, o forse… accade ancora? Nella nostra casa torinese c’è ancora un quadro che era il preferito da mio padre: il soggetto è uno scugnizzo. Si usa ancora questa parola? E’ un marmocchio vestito con calzoni corti e camicia un po’ fuori misura, forse lacera, il moccio al naso, sporchino, tutto il contrario di come noi figli eravamo, curati e rivestiti… ci giocavo con questi bambini, quando stavo nella casa dell’altro mio nonno, don Egidio Truosolo, in via Cadorna, o come sentivo dire allora, “aret’o’palazz'”, mi si perdonino errori di scrittura. Ricordo anche un aversano di nome Martone, che mio padre aiutò a trovare lavoro a Torino… aveva molti figli, e molto bisogno di aiuto, ero piccolo ma vedendolo sentivo la sua difficoltà,la sofferenza… Ricordo le corse in bicicletta con mio cugino sotto il rovente sole estivo nei campi dove ora c’è l’ippodromo, che non c’era ancora… Ricordo troppe persone, parenti e non, che mi piacerebbe nominare, che purtroppo non ci sono più, come mio padre, che è stato anche il primo a lasciarci, a parte i due fratelli di mia madre che non ho mai potuto conoscere, perchè hanno “donato alla patria” il loro sangue aversano, e lei a 80 anni li piange ancora, e non hanno nemmeno una sepoltura… Per brevità non posso farlo, e non è questo che voglio far sapere a chi mi legge. Quello che tengo a dire è più che un insieme di ricordi. Io ad Aversa sono un estraneo, non faccio parte della comunità locale, ma lì ci sono le mie origini, volente o no, anche se nato al nord, c’è una cosa che non solo non posso negare, ma che affermo con orgoglio: sono un TERRONE! E’ la prima volta che scrivo per un giornale, io sono un musicista, suono il violino all’OPERA di Roma, sono jazzista, rockettaro o altro, ho fatto dell’arte la mia professione e scelta di vita. Tratterò in futuro di argomenti culturali, ma era importante oggi presentarmi, far spere che il legame più profondo che ho con questa città di Aversa è l’umanità, la sensibilità, il senso degli affetti più grandi che segnano la vita di ciascuno di noi. Un artista è un sognatore venditore di sogni che ha realizzato almeno uno dei propri, se ha la fortuna di vivere per mezzo della sua arte: nelle condizioni in cui ci troviamo oggi sembra quasi un’utopia, anzi, non sembra, lo è. Spero che se ne realizzi un’altra: che la nostra società nella sua corsa frenetica non dimentichi l’importanza che la cultura e l’arte hanno per l’umana sopravvivenza: sono importanti per l’anima quanto una buona alimentazione lo è per il corpo, e una società che dimentichi questa verità è una società senza futuro.