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Cultura | Storia
Dante e gli esuli adriatici nei versi sul futuro Anna Dello Margio

Quest’anno, in occasione del settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri, il tradizionale Il Dantedì del 25 marzo, giornata dedicata alla celebrazione del sommo poeta nella data riconosciuta come l’inizio del viaggio nell’aldilà descritto nella Divina Commedia, si è caricato di un significato del tutto particolare. Il Dantedì del 2021 ha una valenza perché cade in occasione del settimo centenario della morte del padre della lingua italiana, che in tutta Italia, per tutto l’anno, sarà celebrato con una moltitudine di eventi.

Il viaggio di Dante inizia con le tragiche ed oscure previsioni sul futuro, ma assume anche un significato fortemente identitario, fondativo dell’idea stessa di Italia e della sua composizione territoriale. E nel nono canto dell’Inferno scrisse: Sì come a Pola presso del Carnaro ch’Italia chiude e suoi termini bagna. A tal proposito, è giusto ricordare quando, in un’epoca in cui era ancora prematuro parlare di Stato e di nazione, Dante aveva le idee ben chiare su quale fosse il confine orientale d’Italia. Un’Italia concepita come una regione in cui si parlava una medesima lingua, nei suoi dialetti nel De vulgari eloquentia, si fa menzione anche dell’istriano. Nella Divina Commedia il riferimento è esplicito al Carnaro ed a Pola, un luogo all’epoca poco conosciuto, ma si può ipotizzare un soggiorno istriano dell’illustre poeta, che avrebbe visto in prima persona questa antica città. 

Fu così che in periodo risorgimentale, in cui la lingua italiana rappresentava una componente fondamentale per un’identità ancora da perfezionare, Dante diventò icona nazionale e, al termine delle guerre d’indipendenza, nelle terre ancora irredente statue e busti, riferimenti toponomastici ed iniziative culturali in onore del “ghibellin fuggiasco” si sarebbero riscontrati a Trento, Pola, Trieste, Zara e Fiume. La passione dantesca riecheggia anche nel viaggio patriottico compiuto a Ravenna nel 1908 da centinaia di irredentisti giuliani, fiumani e dalmati per recare omaggio alla tomba del poeta vate. Dopo la Seconda guerra mondiale 350.000 esuli adriatici si sarebbero identificati nei versi in cui il poeta fiorentino incontrando nel Paradiso l’avo Cacciaguida prevedeva e descriveva il proprio esilio:

“Tu lascerai ogne cosa diletta

più caramente; e questo è quello strale

che l’arco de lo essilio pria saetta.

Tu proverai sì come sa di sale

lo pane altrui, e come è duro calle

lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale…”

 

Il Dantedì, oltre a celebrare la nascita della letteratura italiana e il grande autore della cultura italiana, possa essere anche monito per ricordare che c’è, ancora oggi, una italianità da ricordare e salvaguardare.


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