Perché Nicola Pugliese non ha più scritto? È la domanda che si pone il giovane e valente scrittore Stefano Cortese, che ha recentemente pubblicato con la Casa Editrice De Nigris il libro Nicola Pugliese. L’arte di non scrivere, incluso nella nuova Collana tascabile Palepolis, Chi ha contribuito a rendere grande Napoli.
Autore di un libro di culto pubblicato con Enaudi nel 1977, Malacqua: quattro giorni di pioggia nella città di Napoli in attesa che si verifichi un accadimento straordinario, Nicola Pugliese, il cui talento fu scoperto da Italo Calvino, pur essendo consapevole del grande successo riscosso dalla sua opera, decise non solo di non scrivere più, ma anche di ritirarsi in una sorta di esilio volontario prima a Varcaturo, poi nel 2003 ad Avella, dove vi rimase fino alle morte, nel 2012. Nessuno hai mai saputo spiegare il motivo del suo improvviso ed inaspettato distacco dal mondo della scrittura. Era stato definito il “Salinger napoletano”. C’è, difatti, una similitudine tra Pugliese ed il romanziere americano J.D. Salinger, che decise di lasciare New York e rifugiarsi a Cornish, rifiutando i contati umani e vivendo in totale solitudine a causa della difficoltà ad adattarsi alle luci della ribalta.
Stefano Cortese, fortemente affascinato da questo misterioso scrittore, non si dà pace e va alla ricerca delle persone che lo hanno conosciuto e dei luoghi in cui egli è vissuto per dare una risposta alla sua persistente domanda. Il suo libro è il racconto del suo viaggio ad Avella in una giornata grigia di fine maggio. Mentre imbocca l’autostrada, Stefano Cortese ricorda che, come Pugliese, anche il poeta francese Arthur Rimbaud a vent’anni aveva rinunciato per sempre a scrivere. Arrivato a destinazione, cerca di “posare gli occhi su tutto”; non si lascia sfuggire nulla perché in ogni particolare potrebbe trovare una risposta alla sua domanda. Entra nel bar Pasquino, dove c’è un ritratto di Nicola Pugliese che frequentava abitualmente quel luogo, ed ha un cordiale colloquio con il gestore del locale, Carmine, il quale, pur rispondendo alle domande dello scrittore, sembra voler proteggere Pugliese rispettando la sua volontà di rimanere isolato e in silenzio. Carmine rivela che Pugliese gli aveva confidato che si viene ricordati per un unico libro: “non vale la pena scrivere di più, tanto il pubblico avrà in mente solo quella storia, che ti resta addosso per sempre”.
Sarà stato solo questo il motivo della scelta di Nicola Pugliese? Stefano Cortese ha anche un colloquio telefonico con la figlia di Nicola Pugliese, la quale gli confida che l’isolamento dalla scena letteraria rappresenta l’essenza stessa di suo padre, il quale credeva che gli autori non scrivessero più per un’esigenza personale o per amore verso la scrittura. Neanche a Stefano Cortese, che conosce bene il mestiere dello scrivere, piace come si scrive oggigiorno. Anch’egli, come Nicola Pugliese, non ama i salotti letterari. Né apprezza coloro che affermano di scrivere per hobby o per passione perché, secondo lui, la “passione non c’entra niente con lo scrivere” in quanto la “letteratura è un atto di disperazione. Occorre essere pronti a rinunciare a tutto se si vuole raccontare davvero.” C’è, dunque, qualcosa che accomuna Nicola Pugliese a Stefano Cortese, che forse vuole conoscere meglio Pugliese per conoscere meglio sé stesso. Nicola Pugliese è l’Artista che preferisce isolarsi da un mondo in cui non si identifica. Stefano Cortese è convinto che “il non- scrivere sia il regalo più bello che uno scrittore possa fare ai propri lettori: un’educazione al silenzio.” La grandezza di Nicola Pugliese “sta nel suo silenzio, nel suo esilio e nel suo distacco dal mondo letterario che avrebbe continuato a deluderlo.” A volte il silenzio fa più rumore delle parole.