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Gli stati in bilico decideranno le elezioni americane Giuseppe Lucariello

Tra una settimana avremo il verdetto delle elezioni in America, una competizione già densa di colpi di scena e con un peso enorme sugli scenari mondiali. Con una attenzione a tutto campo pubblichiamo una lunga analisi del confronto Trump-Harris di Giuseppe Lucariello, che nei mesi scorsi ha attraversato gli Stati Uniti sul campo.

Imparate e memorizzate bene: Arizona, Nevada, Pennsylvania, Wisconsin, Michigan, North Carolina e Georgia. Cosa sono? Sono gli swing states che hanno deciso le elezioni USA nel 2020 e quattro anni dopo lo saranno ancora una volta. Nel 2020 ci siamo lasciati con la vittoria di Joe Biden, in uno dei cicli elettorali più combattuti della storia recente, dove Donald Trump è stato sconfitto, in parte, proprio grazie al supporto decisivo di stati chiave come Georgia, Pennsylvania e Michigan, che hanno ribaltato il risultato a suo favore. Tuttavia, nonostante la vittoria di Biden nel voto popolare e nel Collegio Elettorale, il mandato presidenziale è stato segnato da sfide enormi, tra cui la gestione della pandemia di COVID-19, l’inflazione crescente e una nazione profondamente divisa. Ora, a quattro anni di distanza, ci troviamo di fronte a un nuovo ciclo elettorale che potrebbe essere altrettanto, se non più, imprevedibile.

Le elezioni del 2024 si giocheranno nuovamente in un campo politico polarizzato, con Kamala Harris come candidata democratica e Donald Trump, alla sua terza corsa presidenziale, che cerca il suo ritorno.

Elezioni USA 2024

Per capire come si decideranno le prossime elezioni, è fondamentale ricordare come funziona il sistema elettorale americano: negli Stati Uniti il Presidente non viene eletto direttamente dal popolo, ma attraverso il Collegio Elettorale. Questo sistema assegna a ogni stato un numero di grandi elettori basato sulla sua rappresentanza al Congresso, ovvero il numero di senatori e deputati: ciò significa che non basta ottenere la maggioranza del voto popolare nazionale per vincere ed un candidato deve conquistare almeno 270 voti elettorali su 538 per essere eletto Presidente.

Gli stati più popolosi, come la California e il Texas, hanno un numero maggiore di grandi elettori, ma le elezioni si decidono spesso nei cosiddetti swing states menzionati sopra ossia quegli stati in bilico che possono votare sia democratico che repubblicano e su cui entrambi i candidati stanno concentrando le loro campagne elettorali. A completamento del discorso va sottolineato anche che verranno rinnovati tutti i 435 seggi della Camera (la Camera dei Rappresentanti si rinnova interamente ogni due anni, quindi ogni elezione generale prevede la rielezione o l’elezione di tutti i membri) mentre per il Senato saranno in palio 34 dei 100 seggi del Senato (i senatori hanno un mandato di sei anni, quindi circa un terzo del Senato viene rinnovato in ogni ciclo elettorale, con elezioni che si tengono a rotazione ogni due anni). In queste elezioni 2024, ci sono un totale di 26 seggi toss-up per la Camera dei Rappresentanti che potrebbero determinare il controllo della Camera in stati chiave come la California, New York, Pennsylvania e altri​; mentre per quanto riguarda il Senato, i seggi toss-up sono un po’ meno numerosi, ma comunque significativi per determinare la maggioranza e si trovano in stati come Arizona, Georgia, Michigan e Wisconsin, con 9 seggi toss-up in totale. Camera e Senato sono importanti in quanto hanno il potere di bloccare o modificare le agende politiche del Presidente condizionandone di molto l’operato.

 Tra swing states, polarizzazione e incertezze

Tornando alla corsa per la White House, prendendo come riferimento la media dei sondaggi recenti, Kamala Harris è attualmente la favorita per vincere il voto popolare, ma il bias del Collegio Elettorale gioca a favore di Donald Trump con un margine di circa 2 punti percentuali. In un periodo di forte polarizzazione politica e di elezioni sempre più combattute, questa situazione costituisce un ostacolo significativo per i Democratici, che devono guadagnare voti sufficienti non solo a livello nazionale, ma soprattutto negli swing states sopra menzionati.

I motivi che sembrerebbero favorire i Repubblicani credo siano quattro su tutti:

Inflazione: ha raggiunto il suo apice nel giugno 2022, con un tasso del 9,1% e sebbene ora sia diminuita, i prezzi restano comunque molto più alti rispetto a quando Joe Biden è entrato in carica e gli elettori, storicamente sensibili all’inflazione, potrebbero attribuire ai Democratici la responsabilità di questa situazione a causa dell’aumento della spesa pubblica durante la ripresa post-pandemia. La percezione economica degli elettori tende a rimanere indietro rispetto ai dati oggettivi, e i salari reali della classe lavoratrice sono cresciuti lentamente per anni, mentre i profitti aziendali sono aumentati in modo significativo.

A livello globale, i partiti al potere stanno affrontando crescenti difficoltà elettorali, e il tradizionale vantaggio degli incumbent (coloro che sono già in carica) si sta erodendo: un contesto che favorisce candidati come Donald Trump, che riescono a galvanizzare gli elettori disillusi con messaggi diretti contro le élite. Trump infatti mantiene una solida base di sostegno tra gli elettori repubblicani, nonostante numerose accuse e procedimenti legali. La sua abilità nel presentarsi come il candidato anti-sistema continua ad attrarre fasce di elettori che sentono di essere stati abbandonati dalle politiche tradizionali ed allo stesso tempo, il discorso democratico sulla difesa della democrazia, anche se importante e valido alla luce degli eventi del 6 gennaio 2021, può risultare meno efficace, poiché per molti elettori la minaccia alla democrazia non è percepita come immediata.

Gli elettori sono sempre più divisi su linee culturali e demografiche: l’elettorato bianco della classe lavoratrice, un tempo roccaforte democratica, ha spostato il suo sostegno verso i repubblicani, mentre i democratici continuano a perdere terreno tra gli elettori afroamericani e le minoranze etniche; anche il divario di genere sta crescendo, con molti giovani uomini che si spostano a destra, contribuendo a un aumento del sostegno a Trump. Al contrario, Harris e i democratici stanno cercando di consolidare il loro sostegno tra gli elettori più istruiti e le donne, ma questo potrebbe non essere sufficiente per compensare le perdite in altre aree.

Kamala Harris sta affrontando la difficile transizione da vice a principale candidata alla presidenza in quanto la sua corsa è iniziata tardi e ha ereditato gran parte dello staff della poco efficace campagna di Biden del 2020. Stanno pesando anche le pesanti critiche riguardo al suo passato politico, avendo assunto in passato posizioni molto più progressiste rispetto alla sua attuale piattaforma; questa incoerenza potrebbe diventare un punto di vulnerabilità, specialmente negli stati chiave.

La proiezione

Personalmente, basandomi sulla media dei sondaggi raccolti dagli aggregatori dati come Nate Silver e 270toWin che vedono Trump avanti in quasi tutti gli swing states, vede una possibile vittoria di Trump con 278 grandi elettori contro i 260 di Kamala Harris e la mappa finale potrebbe essere la seguente:

 

 

È chiaro che parliamo di percentuali molto basse di differenza tra i due candidati (in quasi tutti i sondaggi la differenza è di poco superiore o inferiore all’1%) che il voto reale può stravolgere e si potrebbe arrivare a due scenari diametralmente opposti:

1) una Red Wave con Trump che non vince ma stravince con distacchi siderali in tutti gli swing states andando oltre i 310 grandi elettori;

2) Kamala Harris che vince, oltre che in Pennsylvania, in uno degli stati dove sembra dietro (Winsconsin o Arizona su tutti) ottenendo così i 270/271 grandi elettori necessari per la vittoria (con una situazione simile al 2000 con il Florida recount).

Tuttavia, sebbene i numeri e le previsioni possano suggerire un quadro generale, l’incertezza è sempre dietro l’angolo: ogni voto, ogni seggio e ogni battaglia nelle singole circoscrizioni sarà fondamentale, e si vedrà come i cittadini americani risponderanno a temi cruciali come l’economia, la sicurezza, la sanità e la politica estera. Non resta che aspettare il 5 novembre e vedere come andrà a finire: fin quando non chiudono le urne la partita è ancora tutta da giocare.


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