Con Enrico Letta alla segreteria il Partito Democratico si avvia a completare l’ultima, definitiva, trasformazione del proprio Dna, a mutare la propria identità profonda. Il partito che fu erede del PCI e che continua a sostenere di voler rappresentare la Sinistra, da parecchio ha imboccato la strada del liberalismo moderato e con Letta dimostra plasticamente di aver abbandonato i tradizionali riferimenti sociali ed ideologici, pronto per la trasformazione finale da rappresentante delle istanze del lavoro e delle cassi meno abbienti in partito liberal-progressista.
Ormai erano finiti, con l’uscita di scena di Bersani, i quadri storici cresciuti all’ombra della “ditta”, falliti gli esperimenti leaderistici, il PD poteva puntare su due alternative che ne avrebbero mantenuto una parvenza di continuità: la linea degli amministratori locali, quella covata cui appartengono i Bonaccini e i Gori, vicini alla base e legati alla rappresentanza tradizionale sui territori, oppure la “generazione Schlein”, i rappresentanti giovani della stagione dei diritti colorati, specchio della evoluzione (?) individualista delle grandi battaglie per i diritti collettivi.
Invece no, la soluzione alle faide della fu Sinistra è Letta, uomo di governo dal lontano 1998, enfant prodige di Andreatta ( personaggio ampiamente sopravvalutato e sulla cui parabola economica e ideologica sarebbe opportuno stendere ampie coltri pietose e tenere a freno nella gola lunghe vagonate di improperi), che nella sua formazione non ha alcun punto di contatto con la storia della Sinistra stessa. Letta rappresenta fisicamente l’unico sostegno ideologico rimasto alla Sinistra, istituzionale per vocazione e per autodefinizione, dal 2007 a oggi: il mito dell’Europa unita, è alfiere principe della fideistica visione no-border dell’integrazione europea sovranazionale. Non è neanche un riformista moderato, è un liberale con una spruzzata di pietismo. Quello che qualche mese fa ci spiegava, innanzi ad un adorante Zoro e ad un sorridente Makkox, residuati della fu Sinistra movimentista e No-global, che il mondo delle sicurezze economiche e sociali è finito, che dopo il Covid nulla tornerà come prima, che il lavoro stabile ce lo scorderemo, che l’ascensore sociale funziona solo per quelli capaci di tirarlo su da soli, che l’istruzione non è uguale per tutti. E che bisogna accogliere tutto con gioia, sorriso e bonaria speranza.
Chissà se l’omonimo di Berlinguer riuscirà a stare sereno a lungo, intanto è evidente a quale elettorato ed a quale sistema valoriale fa ora riferimento il partito, figlio del PCI ma emulo della DC, che da un decennio condiziona e costruisce l’intero sistema politico italiano, e che, nelle facce distese e nelle parole accomodanti, prepara un futuro all’italiano medio, lontano dalle periferie e dai quartieri popolari, ma vicino alle brave signore del volontariato domenicale, ai green delivery addicted, agli imprenditori in pullover, ai giovani dottorandi trilingui con l’ape in mano. Tutti accomodati nel salotto buono del loft della new Left (e no, persino la parola Sinistra ormai è out e la mutazione ora è completata).