Bisogna fare attenzione alle conseguenze sociali di questa nuova fase di emergenza sanitaria. Quando è iniziato il lockdown a marzo eravamo fiduciosi che sarebbe durato poco, che fare sacrifici sarebbe servito a migliorare la situazione, che, in un modo o in un altro, alla fine sarebbe arrivata la ripresa. Oggi non si sa quanto durerà, non si sa se servirà, non sappiamo come ne usciremo. Dover affrontare un anno di azzeramento economico e di desertificazione sociale e umana è, per molti, una prospettiva disperante.
I più resteranno a galla, in qualche modo, ma molti altri non ce la faranno ed hanno paura, come hanno dimostrato le prime estemporanee proteste di ottobre. Non ce la faranno i lavoratori in nero di Napoli, non ce la faranno i ristoratori e i precari di Roma, non ce la faranno i piccoli esercenti di Milano, non ce la faranno i tassisti torinesi, non ce la farà la piccola borghesia ferrarese e triestina, non ce la faranno i commercianti pugliesi. Esiste un malessere diffuso, un senso di precarietà del presente e di insicurezza del domani, figli dell’incertezza sulle reali possibilità di uscire dal tunnel del Covid e, soprattutto, sulla data in cui si potrà tornare a quella che si ricorda come la normalità. Questa condizione massacra le attività economiche ed esaspera gli animi, senza trovare risposte che appaiano rassicuranti. La questione va posta con franchezza e non può eludersi, nemmeno quando si manifesta nelle violente proteste di piazza, per le quali è inutile pensare di liquidare tutto con gli schemi semplici che attribuiscono il tutto alla presenza ora della camorra, ora degli ultrà da stadio, ora degli anarchici o delle frange estremiste. Si tratta di una realtà più profonda, con implicazioni psicologiche e sociali non poco, nella quale non soltanto la sicurezza economica è messa in discussione, ma finanche il mondo degli affetti e delle tradizioni familiari è intaccato, con un’ombra cupa che aleggia sulle festività natalizie.
In tanti non hanno davvero più prospettive, e quando le masse perdono la speranza provano ad autocostruirsene una, che, in tempi assai più seri e più drammatici di questi, avrebbe avuto una certa assonanza con la parola “rivoluzione”, ma che nei tempi attuali, con lo spessore dei leader politici dell’oggi e le motivazioni delle masse, ormai piccoloborghesi e non più diseredate, alla fine non andrà oltre ad una serie, più o meno lunga, di sommosse, dagli esiti, però, imprevedibili.