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Intervista a Salvatore Di Vilio Mario Schiavone

Vite maritata (Fotografia di Salvatore Di Vilio)

Quando non scrivo storie sono in giro per Terra di Lavoro, a caccia di personaggi portatori di storie. Raccontare le loro vite mi diverte, e mi permette di vedere il bello che c’è anche in queste terre. Non tutti i luoghi difficili meritano attenzione e onori di cronaca solo quando accadono fatti tristi. Io gli esempi positivi, che vengono da questa terra, li conosco. Oggi vi racconto la storia di uno di loro.

Pronto, parlo con Salvatore Di Vilio il fotografo?

Sì, sono io. Ma oggi non consegno foto. Lo studio è chiuso, è un giorno di festa. Mi dispiace.

Salvatore mi spiace disturbarla. Io sono Mario, il blogger. Quello di Casal di Principe che gira con la bici che si chiama Silver. Ha presente?

Come no, ciao caro. Dammi del tu senza problemi, non farmi sentire vecchio e poi ci siamo visti altrove se non ricordo male!

Vorrei intervistarti, capire meglio chi sei e cosa fai. Ho sentito parlare di te un bel po’ in giro. A Torino come a Roma, ogni volta che cercavo di parlare di fotografi italiani con amici veniva fuori il tuo nome. Amici che vivono altrove mi prendevano in giro, dicevano che non potevo non conoscerti di persona. Uno della mia terra così bravo conosciuto altrove e non da me non potevo perdermelo.

(pausa lunga…) Amico mio, ti ringrazio. Io però non sono bravo con le parole. Se ti va, puoi venirmi a trovare nel mio studio fotografico, ti mostro qualche mio lavoro. Non rilascio interviste lunghe, non è per te… credimi: preferisco raccontarmi in modo diverso magari mostrandoti qualche mio scatto.

Vengo da te, se ti va. Allo studio ci sei di pomeriggio o preferisci un incontro di mattina?

Passa quando vuoi. Avvisami sul cellulare quando sei in zona, potrei essere in giro per un caffè. Forse non mi trovi, è raro che accada ma a volte pure io esco dal mio studio per un caffè. Comunque, ripeto, non mollo quasi mai il mio laboratorio fotografico, passa quando vuoi.

Alcuni giorni dopo la conversazione telefonica avuta con Salvatore, anche se la mia bici era in officina per una riparazione, ho deciso di raggiungerlo lo stesso facendomi accompagnare in auto fino allo studio-laboratorio da un altro conterraneo munito di auto e pazienza. Quando sono arrivato a Succivo, mentre entravo nello studio fotografico di Salvatore ho notato subito dei grossi lucchetti ai piedi degli scalini e altri sensori di un potente sistema utile a evitare i furti.

Guardando quel sistema di lucchetti e l’antifurto e le porte molto robuste ho pensato: qui dentro devono esserci dei tesori. Subito dopo, sorridendo, mi sono detto: chi cercherebbe di portarsi via dei tesori sviluppati su carta fotografica? Possibile mai? Neanche il tempo di entrare e Salvatore è già impegnato a scavare e scovare fra i libri, le riviste e gli scatti di un tempo i materiali che raccontano la sua carriera: tesori speciali, frutto di anni e anni di lavoro rubati alla professione “classica” di fotografo per matrimoni e cerimonie.

Non mi piaceva, all’inizio, fare quello che facevano altri. Vivere solo di scatti matrimoniali non mi andava bene, volevo andare oltre. Ho cercato l’innovazione dove esisteva da tempo la formula molto nota e consolidata del matrimonio inteso come un evento da impacchettare con foto e filmato. Ho osato, andando oltre. Raccontando anche quegli eventi, a modo mio. Con la mia visione. Mi è andata bene? Non lo so ancora. La fotografia è ricerca continua, come l’arte in generale. Fatto sta che oggi il mio è diventato un mestiere difficile, c’è gente disonesta che svende in cambio di niente quello che un tempo era frutto di un lavoro d’alto artigianato. Questo fa male all’arte e alla cultura.

Noto un pizzico di nostalgia nello sguardo di un uomo che con i suoi occhi profondi e attenti ha scavato in ogni micro-mondo contemporaneo e a antico, in un sud che meritava di farsi raccontare in modo completamente diverso.

Dagli scatti di Salvatore non è difficile comprendere che quest’uomo, ormai adulto, ha cercare di restituirci, con veri scatti fatti con occhi vogliosi di scoperte, un’immagine diversa delle cose attorno a noi. Una dimensione alternativa, e fortemente narrativa, alle prospettive classica del mondo visto ogni giorno. L’ha fatto cominciando da Terra di Lavoro, per poi raccontare tanti altri luoghi visti e visitati viaggiando con occhi vigili e attenti. Fino a esporre le sue foto anche in Cina.

 E prima che io faccia la domanda più invadente fra le domande che è concesso fare presso la bottega di un artista, Salvatore mi legge nel pensiero e dice:

C’è un fotografo italiano, un maestro. Non l’ho mai conosciuto, ma ho apprezzato molto le sue opere.  Si chiama Luigi Ghirri, ho diversi suoi volumi con i suoi lavori.

A quel punto, per me che dal lontano 2007 incontro spesso persone che in un modo o in un altro riconducono molte conversazioni creative all’opera di Luigi Ghirri, mi è venuto il freddo al petto e ho sentito la bocca asciutta come accade in un momento di forte spavento. Non era spavento, a pensarci ora, ma adrenalina pura. Scatenata dalle parole di Salvatore.

Salvatore mi fai vedere qualcosa che ti rappresenta, un oggetto a te caro?

Quando faccio questa domanda al fotografo-artigiano di Succivo, senza pensarci due volte, lui tira fuori dal laboratorio una grande valigia che pare uscita da un film d’autore francese di quelli in bianco e nero. Sulla metà superiore della valigia, con tante grafie a mano e dalle linee più svariate, leggo tante dediche tutte diverse: commosse-provocatorie-attente-allegre-stupite. Firmate, una a una, dai tanti colleghi che ha incontrato negli anni. Guardo alcune firme e faccio ancora una domanda, dimenticando ancora una volta, che Salvatore aveva precisato di non voler rispondere a tante domande.

Salvatò, ricompongo poco con gli occhi queste grafie. Vedo, sotto le dediche, grandi nomi italiani e internazionali. Cosa ti hanno scritto e perché?

Lui si ferma. Ha gli occhi che quasi gli brillano. Forse è la stanchezza, forse è l’emozione. Poi mi risponde:

Addetti ai lavori e artisti. Dai direttori di riviste internazionali ad alcuni grandi maestri della fotografia molti di loro hanno voluto, negli anni, farmi queste dediche per complimentarsi in modo sincero con me dopo aver scoperto i miei scatti. Rileggerle m’imbarazza e mi commuove al tempo stesso. Io sono un autodidatta della fotografia, pure se molti colleghi mi vedono come un professionista. Sono diventato attento e capace sul campo… (nuova pausa, deglutisce…) Mi sono appassionato alla fotografia seguendo le orme di uno zio creativo e irruento: Salvatore Schiano. Era un saldatore specializzato per la famiglia, e per chi lo vedeva sostenere moglie e figli. Per altri, oltre che un bravo padre di famiglia era un fotografo e un viaggiatore instancabile. Devo a lui questa passione per la fotografia.

A quel punto, dopo un periodo di parole così lunghe in cui il fotografo comincia a darmi spunti per mille storie diverse, mi dico dentro di me che la storia da raccontare è una sola: la sua. Ho le prove, inconfondibili, quando apre la valigia e mi mostra gli albi di carta contenuti all’interno. Grandi albi fotografici simili a veri e propri libri giganti pop up fatti a mano, pensati e assemblati con cartoncino e carta fotografica pezzo dopo pezzo. Poi, mostrandomi quei lavori, aggiunge:

In testa hai un’immagine precisa. Provi a lungo prima di vederla viva sotto le mani. Un po’ come inventarsi le tecniche del Photoshop usando le dita, anni prima dell’avvento della fotografia digitale. Usando solo scatti fotografici, carta, cartoncino colla e ago e filo. Così facevo all’epoca.

A quel punto, dico sul serio, ho pensato per un po’ di smettere di scrivere. Di darmi ad altro. Ho pensato: se quest’uomo che ama parlare così poco è stato capace di tutto questo negli anni, reinventandosi – in un territorio difficile come il nostro- un mestiere del genere significa davvero che la fotografia è per quest’uomo IL mezzo espressivo personale per eccellenza.

Stacco gli occhi dalla valigia per qualche secondo e guardando le foto di paesaggi e persone appese al muro, foto che ritraggono volti e luoghi lontani e vicini nello spazio a seconda dei viaggi nel tempo che mostra il fotografo.  Salvatore è un po’ stanco. Mi mostra la sua agenda fitta d’impegni ed io decido di lasciarlo in pace. Mi sono sentito, per qualche ora, come un Pirata in visita a casa di un Mago che custodisce tesori incredibili. Vado via in silenzio. Lento. A piccoli passi. Come le persone solitarie che Salvatore ritrae nelle sue foto: mi sento pure io parte di un micro diorama e sono felice di farne parte. Pure se da Pirata, nel laboratorio del Mago più bravo che c’è in Campania, ho scoperto pochi segreti… ho visto cose che voi comuni mortali non potete immaginare.

Mario Schiavone


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