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E adesso Trump Giuseppe Lucariello

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Ed alla fine vinse The Donald. Lo avreste mai detto nemmeno un anno fa, quando i suoi rivali del Partito Repubblicano lo sbeffeggiavano convinti che non avrebbe mai potuto concorrere nemmeno per la nomination? Ebbene, l’urna alla fine è sempre il giudice finale, al netto delle tante cose che si dicono e si scrivono nei mesi precedenti. Pertanto qui sono due i dati curiosi che vale la pena di sottolineare ma che rendono bene l’idea del risultato raggiunto da Trump: il primo è che nelle metropoli Hillary Clinton ha dominato, ma fuori dalle metropoli (dove non abitano i radical chic ma la gente “comune”) è stata dominata da Trump con percentuali dell’84,6% nelle contee rurali; il secondo è una chicca data dal sistema elettorale americano e sottolineata a dire il vero solo da pochi blogger: vi sorprenderà sapere che le elezioni presidenziali del 2016 sono state decise da nemmeno 100.000 voti su più o meno 120 milioni di schede scrutinate. Trump ha infatti vinto il Michigan per 11.837 voti, la Pennsylvania per 68.236 voti ed il Wisconsin per 27.257 voti. per un totale finale di 107.330 preferenze. Se la Clinton avesse vinto in questi tre stati sarebbe stata Presidente con 278 voti elettorali contro i 260 di Trump. Ovviamente stiamo giocando con i numeri, e conta quello che conta, ma vi chiederete voi: come ha fatto Donald Trump ad ottenere tali percentuali? 


I motivi a dir la verità sono molteplici ma sostanzialmente due sono i principali: innanzitutto, anche se in presenza di una nomination non in linea con il Partito Repubblicano, de facto il GOP si è coalizzato intorno a Trump nelle ultime settimane prima del voto e la dimostrazione è data dalla vittoria schiacciante ottenuta dai Repubblicani sia alla Camera che al Senato, con un voto presidenziale che dunque ha seguito in maniera impressionante quello dei rami del Congresso; un altro motivo può essere dato dalla sonora sconfitta della “coalizione obamiana” (neri, latinos, millennials, unions, lgbt, coastal élites), che non ha semplicemente perso le recenti presidenziali ma aveva già ceduto la maggioranza ai Repubblicani alla Camera nel 2010, al Senato nel 2014 ed ora si trova nettamente sotto nel numero di Governatori e di state legislatures. Insomma, un duro giudizio sull’operato degli ultimi 8 anni sotto tutti i punti di vista (soprattutto se pensate che Obama nel 2008 appena eletto ereditava un Partito Democratico con maggioranze schiaccianti ovunque). Se poi aggiungiamo pure che secondo gli exit poll 4 elettori su 10 hanno dichiarato che tra le qualità dei candidati che avevano maggiormente influenzato il loro voto c’era la “capacità di produrre un cambiamento” e tra questi elettori, l’83% ha scelto Trump e il 14% ha scelto la Clinton, abbiamo il quadro completo della situazione.
Ma ora cosa bisogna aspettarsi dalla Presidenza Trump? Dal discorso insediamento pare tutto molto chiaro ed il neo Presidente ha intenzione di rispettare il programma proposto ai suoi elettori: il “wall” da far pagare al Messico, la temporanea ma immediata chiusura delle frontiere e le tasse per le imprese americane che spostano fuori la produzione sono solo i primi assaggi; così come c’è grande curiosità su come si svilupperà la politica estera USA, la quale per la prima volta nel secondo dopoguerra avrà una forte tendenza isolazionista. 

Certo è che parliamo di un Presidente che ha una visione del mondo su molte cose antitetica rispetto a quella del Partito che gli ha permesso di essere oggi alla White House e che comunque eserciterà sulla sua Presidenza “un controllo” grazie alla maggioranza che detiene in Congresso, ma non può negarsi che Trump alla fine sia riuscito a coinvolgere anche il popolo conservatore in tutti gli Stati Uniti. Ha raccolto attorno a sé tutti gli scontenti americani, i cittadini medi, quelli che ogni giorno vanno a lavoro ed incontrano i problemi della vita quotidiana e nel frattempo ha lasciato che un altro movimento (quello repubblicano non intellettualista) si sviluppasse e corresse vicino a lui. L’elezione del tycoon provocatoriamente può essere da esempio per i politici europei e soprattutto italiani: ci racconta di una ribellione contro le élite e la vecchia politica che nessuno si incarica di interpretare adeguatamente e di una realtà che alla fine si ribella e si vendica sempre delle finzioni costruite ad hoc dai lenoni, dai media e dalle èlite. 

I primi giudizi quando potranno darsi? Formalmente gli americani potranno dare il primo tra due anni alle prime Midterms del 2018, ma sostanzialmente già nei prossimi mesi potremmo avere un quadro chiaro di come questa nuova tendenza isolazionista ed euroscettica degli Stati Uniti influenzerà anche la politica e soprattutto l’economia del mondo intero. Ai posteri l’ardua sentenza

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