Così per come è stata concepita e per come è scritta la riforma del Titolo V della Costituzione non è idonea a raggiungere gli obbiettivi di semplificazione del sistema che si erano prefissati i suoi promotori. Anzi, è molto concreto il rischio che le nuove norme finiranno per rallentare il processo legislativo-decisionale e renderlo meno efficiente. La riforma è timida, da vita ad un sistema ibrido che dimostra come in realtà non vi sia la volontà di affrontare seriamente il tema delle riforme. In primo luogo non si è intervenuto sul ruolo del Presidente del Consiglio, che rimane invariato, ed è questa l’unica anomalia del sistema italiano, non tanto il bicameralismo perfetto, quanto lo stato di minorità in cui è tenuto il capo del governo rispetto al parlamento.
Ormai, dopo settant’anni di democrazia consolidata i tempi sono maturi per passare dalla democrazia parlamentare ad un premierato eletto direttamente dai cittadini. Ma di tutto questo nella nuova costituzione non v’è traccia, nemmeno della abolizione netta del Senato, che forse avrebbe avuto un senso, ma piuttosto viene tenuto in vita artificialmente assegnandogli compi marginali. Non si capisce poi il perché i Senatori dovrebbero essere eletti con un meccanismo di secondo livello, salvo promesse dell’ultim’ora di sistemi cervellotici di elezione diretta, e soprattutto non è chiara quale reale utilità abbia l’affidare complessi compiti a sindaci e consiglieri regionali già oberati dai doveri del mandato elettorale originario. Si produrrebbe inoltre un meccanismo di “porte girevoli”, in base al quale, essendo il mandato dei Senatori legato alla durata del mandato da amministratore locale, ci ritroveremmo in media ogni due anni a rinnovare un terzo dei membri della nuova camera alta, poiché Consigli Regionali e Comuni tengono le elezioni per il loro rinnovo in momenti diversi ed in date diverse da regione a regione. Come si potrebbe con questa composizione affrontare un percorso continuativo dei compiti assegnati? La assegnazione delle sfere di competenza alle due Camere è altrettanto approssimativa con la possibilità, praticamente certa, di continui conflitti di attribuzione, in una cornice che, se a chiacchiere vuol ridurre i passaggi da un ramo all’altro, in effetti crea almeno sei diversi subprocedimenti appesantendo l’iter di formazione delle leggi.
Qualcuno sostiene che il modello sia di ispirazione tedesca senza tener conto che nel sistema tedesco, in caso di conflitto tra le due camere del parlamento, è prevista l’attivazione di una Commissione di Mediazione intercamerale che ha le funzioni di produrre una soluzione legislativa di compromesso. Quest’organo non è previsto nella riforma Renzi-Boschi ed il risultato sarà un abnorme ricorso alla Corte Costituzionale per dirimere i conflitti di attribuzione che, considerando come sono mal delineate le competenze, saranno numerosi. Se l’obiettivo era poi diminuzione dei costi del Senato sarebbe stato possibile intervenire sui rimborsi parlamentari con legge ordinaria, analogamente, è apprezzabile il contingentamento dei tempi per l’esame delle proposte di legge da parte delle Camere introdotto dalla riforma, ma per realizzarlo non c’era certo bisogno di stravolgere mezza Costituzione.
Dal nuovo testo escono massacrate le Regioni che si ritrovano private di molte delle competenze prima assegnate loro, e questo potrebbe sembrare un intervento necessario, ma al contempo si introducono norme che, di fatto, commissariano le scelte regionali da parte del governo centrale senza fissare chiaramente i limiti di attribuzioni e competenze. Ed è un controsenso che nel momento in cui si vorrebbero valorizzare le autonomie locali dotandole di una Camera che le rappresenti, si sottraggano competenze alle Regioni e si sopprimano contestualmente le Province. L’esigenza di sopprimere il CNEL era avvertita da parecchio ma i suoi costi, attualmente, non giustificano trionfalismi sui risparmi, sono infatti in carica appena un terzo dei suoi membri, ormai senza indennità e rimborsi, mentre i suoi dipendenti saranno tutti riassorbiti dalla Corte dei Conti. Al di là degli intenti propagandistici e del significato più largamente politico che la riforma rappresenta, le finalità di ammodernamento del sistema politico, di snellimento delle procedure e di risparmio sono tutte disattese.