Dal testo apprendiamo subito che la pimpinella è il fiore che
vuol significare “sei il mio unico amore!”, un viatico sicuramente indovinato
alla lettura del libro. E il sottotitolo insiste: “Storia di un primo amore“.
Una ridondanza: il primo amore è universalmente giudicato l’unico ed eterno,
sempre… e non è finita: Victoire, definita dal padre “la mia vittoria più
bella“, è fantastica.
>>>continua>>>
Victoire aveva i capelli color dell’oro, occhi
di smeraldo come due piccole gemme e una bocca polposa come un frutto maturo
Lei ha tredici anni, lui quindici, tra i due amicizia. Louis,
orfano di padre, ha la madre che si definisce
donna da un amoresolo… tuo padre mi ha
lasciato felicità per una vita intera
e che da poco ha perso il lavoro. Sta cercando di riciclarsi in
un diverso settore e usa il figlio come “docente” per apprendere gli strumenti
del nuovo mestiere. Da sfondo, un ambiente medio borghese in una piccola
cittadina francese di fine secolo scorso, dove i sogni possono crescere a
dismisura senza intaccare alcuna realtà circostante.
Il primo punto in comune tra i due ragazzi: un’estate senza
vacanze. Il punto di forza maschile: gli viene affidata, dal vicino di casa
partito con la moglie per le ferie, la piscina. Giusto i soldi per acquistare
il motorino sognato e volar via, avvinti in due sulla sella, verso la strada
del futuro senza voltarsi a rimirare l’oggi.
E giochi d’acqua, nuotate sfiancanti, approcci balzani,
riempiono i pomeriggi di piscina, mentre le mattine sono spese in escursioni in
bici fino al fiume non lontano.
Lui progetta di sposarla, lei no: vuole che rimanga il suo
miglior amico.
L’amore possessivo della madre non vede di buon occhio il
legame. Preferirebbe il figlio più maschio, più impegnato in attività con
ragazzi, non perso in quell’incantesimo stregante che costituisce il suo
respiro, il motivo di vita, e che lo rende avulso da tutto il resto. Che cosa
si aspetta?
Aspetto che lei cresca, che posi la testa
sulla mia spalla. Aspetto che le sue labbra tremino quando mi avvicino. Aspetto
i profumi che diranno: “vieni, ora puoi
raggiungermi”. Aspetto di poterle
dire delle parole da cui poi è
difficile riprendersi; quelle parole che
scavano il solco di una vita e possono condurre alla sofferenza più grande di
tutte. Aspetto che lei mi aspetti,
mamma; che lei mi dica “sì, sì, indosserò il tuo anello di fili d’erba e sarò tua”.
È questa diversità di accordi a scandire il legame: lui vorrebbe
affondi più corposi, lei tenta senza fortuna di capirsi, di capire cosa
realmente prova per il grande amico con cui condivide tante ore del giorno. Un
duello continuato ai confini tra infanzia e adolescenza, che coinvolge e lascia
sbigottiti a fronte dell’enormità dei sentimenti da cui si sentono toccati ma
dei quali non riescono a penetrare l’essenza.
Poi lei si va trasformando in donna, diviene preda di tutte le
modificazioni che accadono nella creatura femminile in sboccio. È l’essere e il
non essere, sapere tutto e ignorare ogni cosa, confondere amicizia e amore per
ritrovarsi sempre più disorientata. Lui assapora le prime pene, sofferenza
legate a quell’amore che amore non è perché l’età non permette di comprenderne
misteri e delizie, di afferrare il bandolo per districare la matassa, ma che
comunque sa lasciare molto amaro in bocca al ragazzo che si va facendo uomo, e
che conosce le prime lacrime del sentirsi non corrisposto e la desolazione del
ritrovarsi solo di fronte alla perdita del mondo immaginato.
La madre lo coccola nel movimentato tragitto e lo conforta
raccontandogli del rapporto con il padre, dei loro inizi, della consegna
puntuale di un fiore sempre diverso a costruire un discorso floreale che
permetta loro di scoprirsi nell’intimo, della difficoltà e, al contempo, della
facilità del riconoscersi fatti l’uno per l’altro.
Quando due adolescenti si perdono di vista, al rivedersi, dopo
un tempo più o meno lungo, non è detto che si riconoscano. Sono persone
diverse. Non fisicamente ma mentalmente possono essere due estranei. È quello
che succede ai protagonisti al rincontrarsi. Lei è persa dietro una fantasia
tutta sua, ora è lei ad aspettare ma non certo un ragazzino quasi coetaneo che
spasima per lei e del cui amore non sa che farsene. Fantastica su un uomo
adulto – il proprietario della piscina che è stato abbandonato dalla moglie -,
sul quale esercita ogni arte maliziosa per farlo crollare ai suoi piedi. Ora la
vicenda sfiora la tragedia e scava un abisso. Non sono più il Louis e la
Victoire che abbiamo conosciuto, o meglio è lei ad esser cambiata e di molto,
mentre lui, nel cuore, racchiude la stessa illusione.
E la vita continua. Diversa, impegnativa, con i mesi che
scorrono a costruire memorie e progressi. La mamma e Louis sono più vicini, si
confrontano nel loro dolore e cercano di fronteggiare le difficoltà dei giorni.
Sulle orme del padre, anche Louis tenterà il linguaggio dei
fiori, battendo ancora a una porta chiusa da sempre.
Era partita l’estate dei suoi
tredici anni; aveva portato via con
sé i miei stupori, la nostra eleganza,
le nostre risa limpide, il mio amore
inscalfibile e il suo primo sangue. L’avevo aspettata, ma la mia pazienza a
poco era valsa di fronte
all’affascinante brutalità degli
uomini. Divenne bella senza di me; di quella bellezza che non si può mai
possedere, che è bramosia, chimera e dolore.
Il suo corpo di donna era sbocciato
tra le braccia di uomini, di rapitori,
di predatori – quelli che più d’ogni altro le donne desiderano.
Il destino si diverte a mescolare le carte, e delle mani a
venire nulla sappiamo. Così come, tutto sommato, sappiamo ben poco di quelle
che ci sono già passate dinanzi agli occhi, e che troppo spesso non abbiamo
giocato bene… ma c’è da dire che le storie non sono già tutte scolpite nella
pietra, e possono presentare sempre nuovi aspetti.
Grégoire Delacourt, francese classe 1960, pubblicitario famoso,
si è dedicato alla scrittura dal 2011. Pluripremiato, è l’autore di “Le cose
che non ho” (2012), bestseller tradotto in decine di paesi, da oltre un
milione di copie vendute nel mondo. Pur scrittore recente, ha già pubblicato
diversi libri. La sua vena racchiude un che di fiabesco che esercita un sicuro
fascino sul lettore, trascinandolo nel passato, e l’interesse verso il testo
guizza facilmente nella pagina e tra di esse.
Un libro questo, del 2013, lieve come il soffio gradito d’inizio
primavera, con un registro narrativo romantico e melanconico, che trascina
indietro nel tempo, ai primi sofferti turbamenti della vita di ciascuno, ai
sogni che tutti vorremmo divenissero realtà e che, quasi sempre, beffano il
sognatore. La sola via percorribile, attraverso la quale ci si può avviare
lungo l’accidentata sfida dell’esistenza.
Cercavo di trovare una frase che avrei potuto scriverle, con i
fiori di mio padre, ma mi mancavano le sue parole.
È per potergliele regalare un
giorno, che da adulto ho voluto fare lo scrittore. La mia vittoria.