I moderni ospedali nascono in osservanza a quanto stabilito dal
Concilio di Nicea del 325 d.C., che impose a Vescovati e Monasteri di
costituire, nelle proprie città, “luoghi ospitali” per pellegrini,
ammalati e poveri. E già il Codice di Giustiniano (534 d.C.) ne sancisce una
serie, con compiti e finalità distinte: orfanotrofi, manicomi, ospedali, ecc. Il
presente libro vuole tracciare una storia, sintetica ma circostanziata, del
succedersi nella città di Napoli e nell’immediato circondario della nascita di
questi presìdi, iniziando fin dalla Napoli greco-romana. Tra i molti testi
importanti che parlano dell’argomento, citati in questa rassegna di ospedali
storici, ricordiamo due fonti autorevoli, cui più volte viene fatto riferimento.
Il libro di Francesco Saverio Bruno “L’osservatore di Napoli“, edito
dalla Stamperia del Vaglio in Napoli nel 1855, rassegna di tutte le cose
notevoli della città e guida preziosa pubblicizzata come “indispensabile al
napoletano e al forestiero“, e l’altro di Francesco Ceva Grimaldi: “Della
città di Napoli, dal tempo della sua fondazione fino allo stato presente”
(Napoli, 1857). >>>>
Dopo il periodo diciamo preistorico in questo comparto, nel VI –
VII secolo d.C. vengono istituite le Diaconie, strutture rette da laici con
funzioni assistenziali generiche. Del IX secolo sono le prime tracce certe di
ospedali in città, ma è con il secondo millennio che si comincia ad avvertire
quel sentimento di pietas cristiana che, in comunione con quella laica,
inizia a diffondere una vera e propria rete assistenziale diffusa, con l’articolazione
nel settore di competenze distinte tra religiosi e laici. Comincia anche ad
aver fine la promiscuità tra ammalati e si cura maggiormente l’igiene degli
ambienti e del ricoverato, davvero penoso fino allora. Si arrivava persino a
mettere più ammalati nello stesso letto! È chiaro che ogni cammino è composto
da tanti piccoli passi che è laborioso oggi ricostruire. Gli ospedali antichi
sono ovviamente posizionati per la gran parte nella zona antica del centro.
Nel XVI secolo si diffondono Confraternite e Consorterie. Il
libro ben segue il filo dell’evolversi della situazione sanitaria in questi
lunghi periodi per i quali abbiamo a disposizione tracce librarie scarse. Ricordiamo
che, in quei tempi, borghesia e nobiltà curavano i propri malati in casa,
chiamando i medici al capezzale. Il clero veniva assistito in loco dai
confratelli, tra i quali quasi sempre c’era un esperto nell’arte specifica e
nei rimedi allora noti.
Per altri versi, l’evoluzione della realtà ospedaliera segue i
grandi passi dell’evoluzione sociale e delle condizioni di vita della gran
massa del popolo, per la quale rimangono tanti, e certo troppi, aspetti
negativi, ma il cui numero va continuamente decrescendo o comunque mutando
verso situazioni meno disagiate.
Verso la fine del ‘200 si ha notizia dei primi ospedali
napoletani: Sant’Eligio e Santa Maria di Piedigrotta. Dell’inizio ‘300 è quello
dell’Annunziata, e poi via via tanti altri, enumerati nel presente lavoro che
segue l’evolversi storico delle singole strutture. Nel ‘500 gli ospedali
iniziano a diventare numerosi. È di quei tempi la diffusione della sifilide –
che Girolamo Fracastoro (1478 – 1553) definì morbo gallico, nell’ipotesi che
esso avesse avuto origine in Francia – malattia incurabile e da qui la
fondazione nel 1519 dell’Ospedale degli Incurabili voluto da Maria Lonc (poi
Longo), moglie del segretario del Re di Spagna. Lei, afflitta e poi guarita da
un grave male, profuse nella relativa costruzione tutti i suoi beni per poi
raccoglierne altri estranei. Tuttora operativo, esso si trova nelle vicinanze
di Piazza Cavour e di Via Maria Longo appunto. L’Ospedale dei Pellegrini, anch’esso
oggi attivo, risale al 1533.
A far data da allora, il nostro testo esamina, nella
progressione storica, decine di strutture di ricovero tra minori e maggiori, la
maggior parte scomparse ma alcune ancor oggi vive e vegete, come già enunciato.
Anticipate nel titolo, sono approfondite le notizie su l’Ospedale
di Santa Maria del Popolo degli Incurabili. Esso apre in un periodo critico,
essendo la città stata colpita in anni vicini da una serie multipla di epidemie
cui si aggiunge, con la discesa di Carlo VIII in Italia (1495), appunto la
sifilide. Sulle motivazioni della Long, riferisce Vincenzo Magnati
(1727):
“Gli successe a questa Santa Matrona di esser stata avvelenata
da una sua serva per avvertirla e correggerla, nella sua vita poco grata a Dio,
e restò talmente offesa nel corpo con l’attrazione dei nervi, paralitica, che
non si poteva più reggere da sé, e nemmeno muoversi senza che fosse ajutata da altri, e tra questi suoi patimenti, e
angoscie portate dalla gravezza dell’infermità, concepì nell’animo suo
grandissima speranza di ricuperare la sua salute per intercessione della
Gloriosa Vergine di Loreto, e rivoltasi alla medesima con veri atti di fede, di
passare alla sua casa di Loreto, e ricevere colà la Grazia, dove fattasi
condurre, e gionta in quel Santo Luogo, fece istanza di ascoltarsi la S. Messa,
mà per esser l’ora molto tardi, non si trovava celebrante, e trà queste
altercazioni comparve un Sacerdote giamai veduto, non che conosciuto in quella
Regione, si vestì delle vesti Sacerdotali, e celebrò la messa solita per
l’Infermi paralitici, che suole celebrarsi nella Chiesa nella feria sesta della
settimana Pentecoste con l’Evangelio appreso di Santo Luca al cap. 5 e di San
Matteo al cap 9. Quale terminata, si voltò alli circostanti, e li disse:
Rendete grazie alla vergine per la salute restituita a Maria, e disparve, senza
poterlo più vedere, onde incominciò la Santa Donna à sperimentare nella sua
persona un gran tremore, e questo cessatole, si ritrovò dell’intutto sana nel
corpo, e molto vigorosa in tutte le sue membra”
Già alla fine del XVI secolo questo Ospedale – tra i più grandi
d’Europa – aveva oltre 1500 posti letto, suddivisi in specifici reparti, ed era
il più celebre del regno, dotato di tutti i servizi necessari a farne una
struttura autonoma ed avanzata. La gerarchia interna era blanda, i medici erano
autonomi nelle decisioni: consultavano il primario solo quando era, a loro
giudizio, necessario. Dato l’alto livello del personale, il complesso era sede
appunto dei malati allora ritenuti “incurabili”. Vi venivano anche istruiti ad arte
medica di ottimo livello gli allievi del Collegio Medico Cerusico, nato verso
il 1764 ed operativo fino all’Unità d’Italia. Il nosocomio curava anche la
pubblicazione della rivista scientifica “Annali degl’Incurabili“. Lì
hanno sempre esercitato nomi di estrema levatura professionale per il proprio tempo.
A metà del XIX secolo vi furono aggregate anche delle Cliniche Universitarie.
Con la costituzione degli Ospedali Riuniti di Napoli, e poi delle USL (oggi
ASL), il glorioso Ospedale è stato ridotto a Presidio Ospedaliero. Fa parte
della ASL n. 1, Napoli Centro.
Tra le tante strutture citate, ne annotiamo, in estrema sintesi,
solo alcune.
L’Ospedale di S. Nicola alla Dogana sorse verso la metà del XIV
secolo vicino al Molo, sotto il regno dei Durazzo – D’Angiò, e visse per un
paio di secoli.
Quello di S. Eligio, già citato, era nella zona di Piazza
Mercato ed operò anch’esso per un paio di secoli.
L’Ospedale della Pace sorse verso la fine del XVI secolo su cura
dell’Ordine dei Fatebenefratelli.
L’Ospedale di S. Giovanni a Mare, in un edificio romanico opera
dei Benedettini nella metà del XII secolo, operò fino al XIX secolo.
L’Ospedale di Sant’Aniello a Caponapoli fu il primo ospedale
pubblico della città
L’Ospedale dell’Annunziata – conosciuto anche come Real Casa
dell’Annunziata – nacque nel 1316 come ex-voto di una famiglia di combattenti.
È noto per la ruota in cui vanivano abbandonati neonati dalle proprie madri.
All’interno era sempre presente una donna che provvedeva subito alle prime
necessità del bimbo. Essi venivano poi cresciuti nella struttura, fino ai 18
anni i maschi per essere avviati al lavoro, fino ai 25 le femmine. Se queste si
sposavano prima, veniva loro concessa una piccola dote purché fossero vergini.
La ruota fu abolita nel 1872.
Chiudiamo con la citazione di Seneca in epigrafe al libro:
“Ci vuole tutta la vita
per imparare a vivere e,
quel che forse sembrerà più strano,
ci vuole tutta la vita
per imparare a morire.”