CASERTA.
L’obiettivo è ambizioso. Convertire la filiera del tabacco in filiera della
canapa. Una sorta di ritorno… al futuro, giacché Terra di Lavoro, fino agli
anni Settanta, era il comparto agricolo a più intensa coltivazione di canapa in
Italia. L’idea è stata lanciata da Domenico Bovienzo, presidente
dell’Associazione nazionale periti tabacco, ed è stata raccolta da Umberto
Riccio, a capo del “Distretto turistico di Caserta”, il consorzio
nato per promuovere le eccellenze provinciali. >>>>
«È
chiaro – spiega Bovienzo – che non si parla più della “vecchia canapa”,
lasciata a macerare nei lagni, ma della “nuova canapa”, un prodotto che oggi
può essere trattato con l’impiego di tecnologie che, con il minimo sforzo,
esaltano sia la redditività che la qualità». La Campania, ed è un grave ritardo
cui porre rimedio, è l’ultima Regione che ha accesso un dibattito sul ritorno
della canapa sativa, pur essendo stata la “capitale” della canapa nel Belpaese.
Bovienzo ha redatto un progetto che il “Distretto turistico di
Caserta” si sta impegnando a diffondere, in collaborazione con l’Ente
provinciale per il turismo, l’associazione “Terra sovrana” di Bruno Cortese e
la Regione Campania. Partita nel napoletano, la campagna di sensibilizzazione
farà tappa a Caserta, con una serie di convegni: si partirà da Macerata, il 25
settembre, e si proseguirà con San Felice a Cancello e con tutti i Comuni della
filiera del tabacco, filiera ormai in via di esaurimento. Ai sindaci, ai
coltivatori, ai cittadini, agronomi e tecnici spiegheranno le enormi
potenzialità di una pianta che ha infinite applicazioni, nei settori
alimentare, artigianale, industriale, edile, medico e tessile. Una vera a
propria “pianta delle meraviglie”! Da non sottovalutare, infine, le sue
proprietà bonificanti: «La canapa – spiega Riccio – funge da pompa di calore,
assorbe i metalli pesanti dal terreno e li stocca nella foglia e nel fusto.
Potrebbe essere questo un modo per ridare una chance i terreni inquinati della
“Terra dei fuochi”. Pure in questo caso, la pianta non andrebbe buttata, ma
riutilizzata nell’edilizia o nella produzione di olio industriale». Si
potrebbero, dunque, bonificare intere aree compromesse e, allo stesso tempo,
produrre fonti di materie prime alternative».