Nonostante le condanne del Vaticano, i ricatti del governo e l’opposizione dei partiti cattolici, le sentenze della Cassazione che stabilivano il diritto di morire di Eluana Englaro hanno potuto avere applicazione. Si è conclusa così dopo diciassette anni la battaglia di Beppe Englaro per far riconoscere legalmente la volontà di sua figlia di non essere sottoposta a interventi che rappresentavano solo un inutile e doloroso prolungamento della sua agonia. Sconfitti nel caso di Eluana, Governo e Vaticano stanno ora cercando una rivincita mettendo in approvazione una legge che mentre finge ipocritamente di introdurre in Italia il testamento biologico lo renderà di fatto inapplicabile. Peggio, stabilendo definitivamente per legge l’impossibilità di rifiutare le cure e – di fatto – la proprietà pubblica del nostro corpo. Questo è il grave pericolo a cui oggi ci troviamo di fronte. Ma vediamo di riassumere, a futura memoria, i principali passaggi della vicenda. >>>
L’incidente
La notte del 18 gennaio 1992 l’auto con cui Eluana stava tornando a casa da una festa slittò sul ghiaccio e uscì di strada. Il trauma subito nell’incidente condannò la sfortunata ragazza a uno stato vegetativo persistente, una condizione irreversibile nella quale è spenta per sempre la capacità di pensare, di parlare, di sentire, di muoversi. I medici, respingendo le richieste del padre di lasciare che la ragazza trovasse la fine che avrebbe desiderato, stabilirono che Eluana avrebbe dovuto essere sottoposta in via indefinita all’alimentazione e all’idratazione forzate. Come molti testimoni avevano confermato, tante volte Eluana, commentando i casi di coetanei vittime di incidenti e tenuti a forza in uno stato di coma irreversibile, aveva detto che se fosse toccato a lei non avrebbe mai voluto essere costretta a sopravvivere in quelle condizioni. Ma di questo i medici curanti non vollero tenere conto.
Alla base di questa decisione c’erano, evidentemente, motivazioni di carattere religioso. Secondo tutte le società specializzate di medicina, sia italiane che internazionali, l’idratazione e l’alimentazione forzate sono atti medici, vere e proprie attività terapeutiche. Secondo la Chiesa cattolica non sono invece terapie ma semplici “atti di sostegno vitale”. Pertanto è possibile, e anzi
doveroso – perché la vita è un dono di Dio – prolungarle indefinitamente.
Il coraggio di Beppe Englaro
In tutti questi anni le associazioni che si battono per affermare la libertà di scelta in nmateria di fine vita, insieme ai radicali e ai settori più illuminati del partito democratico hanno cercato di sostenere Beppe Englaro nella sua battaglia per ottenere che venisse rispettata la volontà di Eluana di non essere sottoposta ad accanimento sanitario, una battaglia condotta sempre alla luce del sole rifiutando le vie traverse che tanti gli consigliavano. Anche coloro che a parole vogliono la difesa della vita “ad ogni costo” sanno bene, infatti, che ogni notte negli ospedali mani pietose mettono fine, staccando la spina, a vite ormai condannate. E nelle sale di rianimazione, come ha mostrato uno studio dell’Istituto Mario Negri, oltre il 60% dei decessi sono provocati da un intervento attivo del medico definito «desistenza terapeutica»: uno stop alle cure divenute ormai inutili e che non ha nulla a che vedere con l’eutanasia.
Beppe Englaro non ha scelto soluzioni “facili” da praticare in qualche clinica italiana e neppure ha voluto portare la figlia ad essere aiutata a morire in Svizzera ma ha rivendicato testardamente per tutti questi anni il diritto-dovere di dare esecuzione in modo trasparente alla sua volontà. Ancora più testardamente gli si è opposta la Chiesa cattolica, che presidia con le unghie e con i denti il suo monopolio sui fondamentali passaggi degli esseri umani – la nascita e la morte – perché su di essi fonda il suo potere terreno, e non ammette che vi siano degli umani che intendono decidere liberamente del loro modo di vivere e morire.
L’intervento della Cassazione
Dopo vari giudizi di Tribunali che avevano sempre respinto le sue richieste di autorizzare l’interruzione delle cure, la battaglia di Beppe Englaro ha trovato finalmente uno sbocco grazie alla sentenza della Corte suprema di Cassazione del novembre 2008. Queste le ultime tappe della lunga vicenda giudiziaria:
nel dicembre 2006 la Corte d’Appello di Milano, confermando una precedente decisione del Tribunale di Milano, respinge ancora una volta la richiesta degli avvocati di Beppino Englaro di autorizzare i sanitari alla interruzione delle cure; a ottobre 2007, con la fondamentale sentenza n. 21748 – vedi il testo integrale su questo stesso sito – la svolta: la Corte di Cassazione afferma che la Costituzione italiana, all’art. 32, riconosce il diritto alla autodeterminazione del malato, e cioè il suo diritto di rifiutare le cure o chiedere la loro sospensione, anche se da ciò dovesse derivare la fine della propria vita; che tale diritto può essere, come stabilito anche dalla Convenzione di Oviedo, esercitato anche in via anticipata, attraverso il cosiddetto testamento biologico; che in mancanza di testamento o comunque di un atto formale che sancisca la volontà del malato di accettare o rifiutare determinate cure, tale volontà può essere ricostruita a posteriori, sia attraverso testimonianze sia in base alle convinzioni morali e religiose della persona; che nel caso specifico di Eluana occorreva anche verificare che le sue condizioni di salute fossero tali da togliere in modo irreversibile ogni possibilità di ripresa della conoscenza. La Suprema Corte rinviava quindi la causa ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano perché decidesse in base ai principi enunciati;
nel luglio 2008 la Corte d’Appello di Milano, in applicazione delle decisione della Cassazione, autorizza la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale;
nello stesso mese la Procura di Milano presenta ricorso contro la decisione della Corte d’Appello;
nel novembre 2008 la Corte di Cassazione rende definitiva la decisione della Corte d’Appello dichiarando inammissibile il ricorso della Procura di Milano.
Le reazioni alla sentenza e i tentativi di non applicarla
L’ultima sentenza della Cassazione, che apriva finalmente la strada alla interruzione delle cure nei confronti di Eluana, provocava reazioni furibonde da parte della Chiesa, che per bocca di monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, parlava senza mezzi termini di una «eutanasia sancita per diritto», definendo Eluana «una ragazza mandata a morte».
I partiti della maggioranza di centrodestra (gli ex fascisti di Alleanza nazionale, i razzisti della Lega Nord con il loro alleato “Forza Italia”, il partito personale di Silvio Berlusconi) schierati “in difesa della vita” al seguito del Vaticano, tentavano tutte le strade per rendere inoperante la decisione della Suprema Corte: prima di tutto facendo presentare dalla loro maggioranza parlamentare un ricorso alla Corte costituzionale in cui si accusava la Cassazione di avere invaso la sfera del potere legislativo (respinto), poi promuovendo la presentazione di un ricorso da parte di associazioni private alla Corte europea per i diritti dell’uomo (anch’esso respinto).
Il 16 dicembre 2008 interveniva direttamente il governo con un decreto del ministro del Welfare Sacconi che vietava alle strutture sanitarie pubbliche e a quelle private convenzionate col Servizio Sanitario Nazionale l’interruzione dell’idratazione e dell’alimentazione forzate: un chiaro ricatto nei confronti della casa di cura Città di Udine che aveva annunciato la propria disponibilità ad accogliere Eluana e che – sotto la minaccia di perdere la convenzione con il Servizio sanaitario regionale – è stata costretta a tirarsi indietro. Un atto per il quale, a seguito della denuncia di violenza privata da parte di alcuni deputati radicali, il ministro è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Roma.
A sua volta la Regione Lombardia emanava un decreto con il quale faceva divieto alle cliniche di applicare la sentenza. Il 26 gennaio 2009 il Tribunale Amministrativo Regionale accoglieva il ricorso della famiglia Englaro contro la Regione Lombardia e imponeva a quest’ultima di individuare una struttura ove dar corso alla sentenza della Corte di Cassazione.
Il 3 febbraio 2009 Eluana viene trasportata alla Residenza sanitaria assistenziale “La Quiete” di Udine, che si era dichiarata disponibile ad ospitare la Englaro per l’attuazione della sentenza di sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione forzata, e che inizia il giorno successivo ad applicare il protocollo di intervento concordato tra i medici. Appresa questa notizia il Consiglio dei ministri approva nel pomeriggio del 6 febbraio – nonostante il parere contrario già espresso dal Presidente delle Repubblica Napolitano con una lettera ufficiale – un decreto legge che impedisce la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione dei pazienti. Per spiegare questo intervento il Presidente Berlusconi dichiara, con inconsapevole cinismo, che Eluana non merita di morire perché “ha le mestruazioni e potrebbe anche avere un figlio”.
Ma il decreto legge rappresenta una chiara violazione della Costituzione anche perché si risolverebbe nell’annullamento di una decisione della magistratura, cosa che né il governo né il Parlamento possono fare. Per questi motivi il Presidente della Repubblica si rifiuta di firmarlo.
Informato del diniego del Capo dello Stato il consiglio dei ministri, riunito in seduta straordinaria, approva alle ore 20 dello stesso venerdì 6 febbraio un disegno di legge con gli stessi contenuti del decreto e lo trasmette immediatamente al Senato che si riunisce per discuterne in sessione straordinaria lunedì 9 febbraio 2009. A tamburo battente la maggioranza si appresta ad approvarlo a scatola chiusa, con la sola opposizione dei senatori (ma non tutti) del Pd, dell’IDV e naturalmente dei radicali.
Da citare l’intervento di Emma Bonino: “Qui non è un problema di destra e di sinistra. Qui è tra chi è liberale e chi non lo è, tra chi è laico e chi non lo è. Oggi voi state dando un ulteriore colpo, durissimo, al già pesantemente distrutto Stato di diritto nel nostro Paese. E ricordate, signori della maggioranza, che, quando uno dice “io non lo farei” e ciò improvvisamente diventa “e quindi nessuno lo deve fare”, questo è lo Stato totalitario, questo è lo Stato etico, questo è l’inizio che voi ci presentate”. “Non c’è niente di peggio – ha aggiunto il senatore Giaretta del PD – quando l’animosità dei convertiti si unisce al cinismo di un potere insofferente delle regole. Ho visto il Governo mandare degli ispettori alla ricerca del cavillo giuridico; questo in un Paese dove si muore, signor Ministro, per malasanità e non vengono mandati gli ispettori”.
La liberazione. Come stava realmente Eluana
La sera del 9 gennaio 2009 Eluana Englaro viene liberata dalla sua agonia grazie all’equipe dei medici e paramedici che nella clinica di Udine hanno avuto il coraggio di staccare le sonde con cui veniva alimentata e idratata artificialmente. La successiva autopsia accerterà che il protocollo previsto per la sospensione delle cure è stato applicato correttamente e che la fine di Eluana è arrivata a seguito di un infarto cadiaco.
Quando tutta l’Italia si appassionava alla sua sorte, e molti manifestavano davanti alla clinica chiedendo che venisse lasciata in vita, pochi sapevano che il corpo della donna, dopo diciassette anni di stato vegetativo, era ormai ridotto a una larva. Per un sentimento di rispetto della figlia Beppe Englaro non aveva mai voluto che venissero diffuse fotografie del suo stato attuale e aveva dato alla stampa le immagini di Eluana “prima” dell’incidente: una bella ragazza dal viso sorridente e sereno. Erano queste le immagini che avevano in mente coloro che in buona fede si opponevano alla sua “uccisione”.
I due o tre giornalisti che avevano potuto vedere le sue condizioni reali – dopo diciassette anni di “cure affettuose” delle suore che, non certo gratuitamente, l’hanno assistita per tutti questi anni – ne erano rimasti stravolti: “il ccrpo rinsecchito e atrofizzato, gli arti di vecchia, rattrappiti; le piaghe sulla guancia destra perché posizionata spesso di lato, non potendo deglutire; il naso ormai enorme rispetto a un viso ritratto, le orecchie deformate, callose, scurite per le piaghe; le pupille grandi e spente che si muovevano orribilmente in tutte le direzioni, oppure immobili con le palpebre a mezz’asta proprie della demenza; la saliva che colava dalla bocca, la lingua morta e penzolante da una parte o dall’altra”.
Una sorte atroce che nessuno di noi vorrebbe vivere o vorrebbe venisse vissuta dai suoi familiari per diciassette anni e oltre.
La “reconquista”
La notizia della fine di Eluana piove in un Senato già sotto tensione provocando reazioni scomposte da parte dei senatori della maggioranza, alcuni dei quali arrivano a scagliare accuse di “assassini” contro i colleghi della minoranza e (indirettamente) contro tutti i responsabili della morte di Eluana a cominciare dal padre, dai medici della clinica “La quiete”, dai magistrati che hanno autorizzato la sospensione delle cure. Del resto lo stesso cardinale Barragan aveva dichiarato che “interrompere alimentazione ed idratazione equivale ad un abominevole assassinio” (per poi aggiungere ipocritamente “Non è certamente questo il momento di alzare il livello delle polemiche”).
Viste le notizie pervenute da Udine il Senato decide di sospendere l’esame del disegno di legge trasmesso dal governo riservandosi di riprendere la discussione sull’argomento sulla base del testo più ampio che verrà approvato dalla Commissione competente unificando i numerosi disegni di legge sul testamento biologico già presentati dalle parti politiche.
Prima di chiudere i suoi lavori adotta comunque a maggioranza una risoluzione – alla quale si dovrà attenere la Commissione – con la quale stabilisce, conformemente al parere della Chiesa, che l’alimentazione e l’idratazione artificiale non sono terapie mediche ma atti di sostegno vitale, e che pertanto non possono essere rifiutati o sospesi in nessuna condizione, neanche a chi lo chiede.
Occorre dare atto che in questa fase storica si sta assistendo in Italia a una presa di potere sempre più ferrea da parte della Chiesa cattolica sulle istituzioni, a una rivincita (rispetto ai tempi in cui il Parlamento seppe approvare leggi laiche come quelle sul divorzio e sull’aborto) abbastanza simile alla Reconquista della Spagna da parte dei sovrani di Castiglia. Con la differenza che questa volta non ci sarà (forse…) un’espulsione degli ebrei. Soprattutto in questo caso c’è da dire che coloro che dovrebbero essere conquistati (lo stato laico, le istituzioni) fanno a gara su chi è il primo a inginocchiarsi.
A testimonianza dello zelo con cui il Parlamento mette in atto le direttive della Chiesa si può citare la risoluzione della Camera del 22 gennaio 2009, con la quale si ribadisce che la religione cristiana è alle radici della nostra civiltà e il suo studio deve improntare di sé tutti gli altri insegnamenti. Oppure si può citare l’accordo con la diocesi siglato dal Comune di Milano per garantire l’insegnamento di religione in tutte le 175 scuole comunali dell’infanzia. Accordo che prevede l’assunzione a tempo indeterminato di 46 educatrici di religione segnalate dalla curia. Senza concorso pubblico, come sarebbe obbligatorio, ma con lo stesso stipendio del resto del corpo docente nelle materne. E nelle scuole superiori si diffonde una lettera della curia in cui si consiglia agli studenti stranieri di seguire le lezioni della fede cattolica per integrarsi meglio nella società italiana.
Il governo di Berlusconi è naturalmente in prima linea in questo adeguarsi ai voleri delle gerarchie vaticane. Non perché lo stesso Berlusconi sia un convinto credente, tutt’altro. Divorziato, come del resto molti tra i leader politici più dichiaratamente cattolici, accusato più volte di comportamenti sessuali che sarebbe poco definire disinvolti, la moglie stessa raccontò dell’aborto da lei praticato quando si trovava al settimo mese, perché il bambino sarebbe nato malformato. La dedizione di Berlusconi alle cause della Chiesa, come fu quella di Mussolini, è quindi tutt’altro che disinteressata. Anche per lui Roma val bene una messa, e passare per difensore della vita in un caso clamoroso come quello di Eluana – dopo avere approvato la sanguinosa spedizione di Bush in Irak, che ha prodotto, secondo le valutazioni più restrittive, almeno centomila vittime civili – serve ad acquistare merito presso la Chiesa e a darsi un’immagine gradita a molti italiani. Anche tra i partiti di opposizione la presenza dei cosiddetti teocon, i cattolici oltranzisti il cui campione è la senatrice Binetti, che ha dichiarato pubblicamente di portare sotto le vesti il cilicio, serve a impedire qualunque netta opposizione ai diktat del Vaticano. Risultato. Sotto la guida di Benedetto XVI, il papa fondamentalista delle guerre di civiltà, quello che rappresenta il lato feroce ed oscuro della Chiesa cattolica – proprio come Giovanni XXIII ne rappresentava quello mite e luminoso – l’Italia si sta avviando verso un nuovo Medioevo. Insieme alla Polonia, rappresenta la base di una manovra egemonica del Vaticano lanciata verso le istituzioni europee.
La legge-truffa
In questa situazione, e con la larga maggioranza di cui dispone, è facile prevedere che il progetto del centrodestra in materia di testamento biologico potrà avere una rapida approvazione. In estrema sintesi questo progetto stabilisce: che il testamento deve essere redatto obbligatoriamente presso un notaio, dal quale l’interessato dovrà recarsi accompagnato dal medico di famiglia, e dovrà essere rinnovato ogni tre anni; il testamento non è vincolante nei confronti dei sanitari; non potrà prevedere in ogni caso la rinuncia all’alimentazione e all’idratazione artificiali. Si tratta evidentemente di una “legge truffa”, che fingendo ipocritamente di introdurre il testamento biologico, lo rende di fatto inapplicabile.
Non solo, perché lo zelo dei catecumenti in parlamento è arrivato anche a stabilire che “la vita è indisponibile” (concetto religioso, e che tradotto in legge comporterebbe una sanzione per coloro che hanno tentato di suicidarsi) e che è vietata ogni forma di eutanasia, anche “per omissione”: ossia i medici dovranno per legge amputare le gambe (o altro) anche a coloro che non lo vogliono se ciò è necessario per salvare la loro vita oppure dovranno per legge praticare trasfusioni di sangue anche ai testimoni di Geova.
Inutilmente il grande medico e senatore Umberto Veronesi aveva avvertito, intervenendo il 9 febbraio al Senato, che “mantenere insieme un complesso di organi e cellule in una vita artificiale è un atto contro natura: tecnologicamente oggi la medicina è in grado di tenere in stato vegetativo un corpo senza attività cerebrali quasi all’infinito, ma il fatto che lo si possa fare tecnicamente non significa che lo si debba fare eticamente. Penso che questa sia una mostruosità, e come me la pensano migliaia e migliaia di cittadini, terrorizzati dalla prevaricazione violenta della medicina tecnologica nella propria vita. Lo dico da uomo di scienza: la tecnologia non ha limiti in sé, e se noi, la società e le sue istituzioni non ci impegniamo a tracciare questi limiti rispetto alla vita dell’uomo, chi mai lo potrà fare?” La legge che si vuole approvare, aveva aggiunto, “riguarda l’invasione della tecnologia medica nella vita umana. Mi trovo d’accordo con il filosofo cattolico, cattolicissimo, Giovanni Reale, quando vede nel caso di Eluana un abuso da parte di una civiltà tecnologica che vuole sostituirsi alla natura. Quando avverte che si è perduta la saggezza della giusta misura e la Chiesa e il Governo sono vittime di questo paradigma dominante, che vorrebbe tenere in vita Eluana contro la natura e, infine, quando cita Papa Wojtyla, che, rispondendo ai medici che gli offrivano di continuare a curarlo, disse: «Lasciatemi tornare alla casa del Padre».
Ma la maggioranza che governa questo paese, sostenuta anche dagli esponenti ultracattolici dell’opposizione, non ci sente da questo orecchio, e cammina imperterrita sulla strada tracciata dai vescovi.
Indubbiamente è questo il momento più buio per il laicismo nel nostro paese. Sotto questo pontificato e con questa maggioranza parlamentare l’Italia per tutto quanto riguarda le materie bioetiche, la scuola, la sanità, sta diventando una colonia del Vaticano, soggetta alla Sharia cattolica anziché mussulmana. Secondo i progetti della maggioranza il nostro corpo non è più nostro, è proprietà governativa, è ostaggio della volontà dei medici, è un luogo pubblico, come ha scritto Stefano Rodotà in un bellissimo articolo su Repubblica. Superare questo momento non sarà facile.
C’è da dire, tuttavia, che questa tragica vicenda è servita comunque a portare alla riflessione della gente il problema della fine della loro vita, col risultato che la maggior parte degli italiani comincia a rendersi conto che non vorrebbe essere lasciata in stato comatoso nelle mani di medici e suore per anni e anni, come accaduto ad Eluana. E questo, insieme alla mobilitazione di tante forze che si stanno risvegliando, ci fa sperare per il futuro.
* Da Contrappunti.info per gentile concessione del direttore responsabile dottor Giancarlo Fornari