Dicono che eri
una rondine,
un piccolo picchio,
un pettirosso,
innamorata del sole.
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Sono gli uccelli
le più liete creature del mondo,
le più degne della libertà.
Un lampo ti disfece,
sgraziandoti
in un sonno senza sogni.
Abbi
pietà di noi.
Per chi crede.
Per chi non crede.
Per chi non sa.
Abbi pietà
per chi specula
sulla tua
piccola
vita
con la lente
del disonore.
Onora il padre
tuo
con la forza della sua lacrima
sola
che ti aspettò per sempre
senza essiccarsi mai al sole.
Perdonaci
se la purezza del tuo pianto
è offuscata
dai nostri sguardi.
Insegnaci
la castità del dolore,
che tace.
Abbi pietà di noi
se la nostra pietà di te
ebbe due volti,
quando ti diede l’acqua
e quando te la tolse.
Tu sei
in terra di mezzo,
morta la nostra miseria,
viva alla tua pietà.
Noi non sappiamo.
Siamo vegetali fra mondi che ignoriamo.
Abbiamo occhi mediocri,
foderati di bandiere.
Solo chi ama
accanto,
forse una favilla vede.
Portiamo la pena
di chi non sa
del tuo pianto:
perdonaci per loro.
Abbraccia il padre,
che non meritò la pena
di pagare
con l’ingiuria il suo dolore.
Morta da rondine,
divenisti fiore.
Stringiti al padre. Uscisti
dal tempo e lui,
per starti accanto,
entrò nel tuo.
Perché fossi non più
fiore,
ma stella.
Tutto il cielo è stellato
se un’anima lo vede.
Uscisti
dal tempo
per entrare nella lacrima
del padre
che ti prese per mano.
Accompagnandoti sul ciglio
del tuo nome
alto,
come un fiore
come un goccio di rugiada
aperto al vento.
Perché Dio ha un abisso
che non svela.
E perché un fiore
sull’abisso
non ha vertigini
se un tremito lo scuote
alla prova del passo,
quando un sole
lo aspira
piano
e ricorda la sua goccia al pettirosso.