Come atto finale del suo mandato e (tutto lascia credere) della sua carriera politica,
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Prodi ha voluto sbattere la testa e c’è riuscito. E però parlare di “caduta del governo Prodi” è fare un ossimoro – come dire buio a mezzogiorno, amaro piacere, lucida pazzia – perché Prodi non solo non ha mai governato ma non ha neanche mai provato a farlo, e perciò non si può dire che oggi sia finito un governo. Solo chi sta in piedi può cadere. Diciamo piuttosto che è finito un non-governo, un vuoto di azione e di direzione di cui tutti gli italiani si sono accorti, come dimostra la caduta verticale del consenso riscontrata dalla sua compagine in tutti i sondaggi nell’ultimo anno. E perciò la sua ricerca testarda del voto a Palazzo Madama è stata la ricerca della dissoluzione, la mossa disperata e inutile di un maniaco del gioco d’azzardo che avendo perso tutte le ricchezze che possedeva si gioca gli ultimi spiccioli su un en plein alla roulette. Ma se anche avesse ottenuta la fiducia per lo scarto di uno o due voti non sarebbe stata una vittoria ma solo la replica di un’agonia. Meglio che sia andata così ieri perché altrimenti sarebbe andata così domani, o dopodomani, o fra una settimana. E la politica italiana avrebbe continuato ancor più a incartarsi su se stessa.
1.
Diversi lettori ci hanno chiesto nei mesi scorsi perché, dopo aver contestato tanto Berlusconi e aver appoggiato in tutti i modi la battaglia elettorale dell’Unione, dimostravamo tanta animosità per il governo Prodi.
E’ semplice, perché faceva tutto il contrario di quello che noi, insieme con altri milioni di suoi elettori, ci aspettavamo. Prodi è rimasto prigioniero sino all’ultimo di un programma elettorale in cui ogni frase era stata contrattata fino all’ossessione con i burocrati dei partiti e limata da giganti della politica come Pecoraro Scanio, Caruso, Mastella, e non ha neppure attuato i suoi punti più qualificanti. Vedi la disciplina del conflitto di interessi, vedi la tassazione delle rendite finanziarie al 20 per cento. Nello stesso tempo ha lasciato indisturbate tutte le gravi emergenze, alcune evidentissime altre meno, che costituivano un rischio per lo sviluppo e la stessa tenuta sociale del Paese; intervenendo solo quando non poteva più farne a meno ed era forse troppo tardi.
2.
Al primo posto tra queste emergenze l’invadenza onnivora della politica di sottogoverno (quella politica di cui il senza vergogna Mastella continua a rivendicare “il primato”) in tutti i campi dell’agire umano, a cominciare dalle nomine nella sanità per arrivare alla manipolazione di qualunque concorso in cui i politici di tutte le risme possano mettere le mani. Un’invadenza, i nostri lettori lo ricorderanno, denunciata con grande sincerità in un libro scritto da due politici di rilievo – Cesare Salvi e Massimo Villone – sullo scorcio della precedente legislatura, che noi avevamo giudicato il più bel libro sulla politica scritto negli ultimi dieci anni.
Puntualmente i due senatori avevano documentato i guasti di una politica corrotta ma anche corruttrice, perché la formazione del consenso – che in una democrazia sarebbe il ruolo fondamentale dei partiti – non avviene più attraverso la discussione e la partecipazione ma è inquinata da una pratica di sottogoverno divenuta il mezzo principale di competizione politica. Avevano denunciato un clientelismo bipartisan che trova la sua espressione peggiore nella sanità, dove l’apporto di voti che ogni medico ospedaliero è in grado di offrire specie nel Mezzogiorno è scientificamente quantificabile (non si spiega altrimenti, osservavano Salvi e Villone, perchè alle ultime elezioni comunali di Messina risultavano candidati, nelle varie liste, ben centoundici medici, e perché molti dei politici siano ex baroni). E’ chiaro che tutto questo si risolve non solo in un tragico, progressivo peggioramento dei servizi e dei loro costi ma in un gonfiamento abnorme della classe politica, arrivata nell’insieme ad oltre 300.000 unità, che sia nelle regioni del centrodestra che in quelle del centrosinistra premia prima di tutto se stessa aumentando a dismisura i suoi compensi e poi si rafforza moltiplicando prebende, incarichi, commissioni.
3.
Nella nostra ingenuità immaginavamo che queste invasioni di campo della politica e gli abnormi costi che la sua metastasi progressiva impone al paese sarebbero stati uno dei temi dominanti della legislatura. Ma niente di che, questa emergenza non era compresa nel programma e non interessava il capo del governo, costretto ad occuparsene solo dopo lo smisurato successo di un altro libro-denuncia (quello di Stella e Rizzo) e dopo gli insulti dei grillini, così come è stato costretto ad occuparsi (male) dell’emergenza rifiuti solo dopo che questa è salita alla ribalta nelle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Come se prima ignorasse che queste emergenze esistevano. Così come solo dopo le stragi ha capito che doveva occuparsi della sicurezza sul lavoro. Dopo le denunce giornalistiche ha capito, insieme alla Turco che li aveva anche esaltati con una costosa e insensata campagna pubblicitaria, che doveva occuparsi dello sfacelo degli ospedali.
4.
Altre emergenze che possiamo solo citare sono quelle della giustizia, della scuola, della sanità, dell’energia, dei trasporti. E qui si vede chiaramente lo scontro tra una politica alta, che lavora per il futuro, e una politica bassa, povera, immersa nel presente, come quella di Prodi e del suo governo. Fare politica in grande significa costruire il domani – pensiamo a una città come Parigi in cui a metà dell’Ottocento il barone Hausmann si inventa i grandi boulevard, pensiamo alle metropolitane che amministratori lungimiranti cominciarono a costruire in molte metropoli già nella seconda metà di quel secolo (la rete sotterranea di Londra fu inaugurata il 10 gennaio 1863 e ora conta 274 stazioni, quella di Parigi è di poco posteriore), pensiamo agli investimenti nella grande velocità che sta facendo in questi anni la Spagna, un’ora e mezza di treno da Madrid a Siviglia. Pensiamo agli investimenti che hanno fatto e stanno facendo gli altri paesi nel campo dell’energia, mentre noi siamo totalmente dipendenti dalle forniture altrui, amministratori illuminati osteggiano perfino l’energia eolica perché “è antiestetica”, altri amministratori osteggiano l’alta velocità e altri ancora osteggiano discariche e inceneritori, e continuano a farlo anche dopo che i rifiuti hanno sommerso le case e le strade dei loro amministrati.
Investimenti che in questa compagine governativa non erano possibili anche a causa della ossessione per la “redistribuzione” della sinistra massimalista, che preferisce distribuire a piccoli pezzi l’argenteria di casa invece di preoccuparsi di creare le premesse per lo sviluppo. Redistribuire è giusto e doveroso ma non può essere il problema ossessivo di un governo che ha anche il dovere di preoccuparsi di creare le condizioni perché ci sia ricchezza da redistribuire in futuro. E questo non può avvenire se non si sistema la scuola, che cade sempre più in basso nei confronti internazionali, sicchè la prossima generazione che governerà questo paese scriverà nelle leggi xké invece di perché. Se non si investe nelle infrastrutture, nella ricerca, nell’energia, se non si risolvono i problemi di una giustizia lenta e improduttiva. Se non si combatte in modo adeguato la criminalità organizzata che sta dilagando ormai dal sud al nord. Se, insomma, non si dedicano risorse ad ammodernare e rendere competitivo il sistema paese.
5.
E certo non si può dire che governi un leader incapace di imporsi sui particolarismi: tutti leciti e legittimi, perché no, ma nell’insieme tragici per l’avvenire di una nazione quando si risolvono in un sistema incrociato di veti che frena ogni possibilità di assicurare non solo lo sviluppo ma anche, come si è visto in Campania, i fondamenti basilari della vita civile. Un governo incapace di imporre scelte razionali e ragionevoli epperò impopolari sull’alta velocità, sui termovalorizzatori, sui rigassificatori, che però, guarda caso trova la forza di imporsi sulle comunità locali o sui suoi stessi alleati quando si tratta di piegarsi agli interessi del potente amico americano permettendogli di costruire una maxi base aeronautica a Vicenza o sostenendo un’avventura militare in Afghanistan di cui non si vede la fine e purtroppo, neppure l’utilità.
6.
Se poco o niente di bene si può dire di Prodi, che sin dall’inizio non si è dimostrato neppure capace di tenere a freno il cicaleccio a volte assordante dei ministri, in lite tra loro nel cortile di Palazzo Chigi come comari impazzite, e disposto a tollerare perfino che uno di loro manifestasse davanti a Montecitorio gridando nel megafono slogan offensivi contro il governo di cui faceva parte; se poco o niente di bene si può dunque dire del leader, molto male si può dire dei suoi ministri. Tra i quali hanno ben meritato solo pochi – a cominciare da Bersani, Visco, D’Alema, ma l’elenco va poco oltre – mentre giudizi penosi si devono dare su gente come la Turco, il più incapace, il più imbelle ministro della salute dell’epoca repubblicana, o come Pecoraro Scanio, sul quale è meglio stendere un velo. Per non parlare di Mastella, che ha esordito andando a Regina Coeli a promettere l’indulto ai detenuti ancor prima di discuterne in Consiglio dei ministri e ha finito trasformando la sua relazione sulla giustizia in un j’accuse a titolo personale contro i giudici. E che come tutto ringraziamento per essere stato elevato alla direzione di un ministero indegno di un guitto della politica si è trasferito armi e bagagli nello schieramento avversario. Facendo sbattere alla grande il testone di Prodi contro il muro rappresentato, oltre che dal suo cinismo, dalla furbizia di un Andreotti, dalla voglia di Berlusconi dello stalinista Turigliatto, dal richiamo della foresta di un voltagabbana professionale, autentico parassita politico come Fisichella, che imbarcato nel centrosinistra da quell’altro genio di Rutelli lo ha preso come un autobus scendendone al momento in cui era arrivato al capolinea.
7.
Ritorniamo così alla testardaggine di Prodi, che gli ha fatto perdere, insieme alla fiducia, la possibilità di un reincarico da parte di Napolitano, ma che è servita almeno a una cosa, a far toccare con mano agli italiani in quali bassifondi di costume politico e da quali personaggi siano decise le sorti di questo paese.
“Senatores boni viri at Senatus mala bestia”, solevano dire i Romani per alludere a un fenomeno abbastanza studiato dalla scienza delle organizzazioni, e cioè la trasformazione che possono subire le persone aggregate in una massa. I senatori presi uno per uno sono persone per bene, è il senato che può diventare una bestia. Ma questo poteva valere per quelli romani. A vedere le bottiglie stappate in aula dai nostri senatori al momento della proclamazione del voto, le corna, gli sputi e gli insulti nei confronti di un parlamentare dell’Udeur colpevole di aver votato la fiducia a Prodi il concetto va capovolto: non è il senato ad essere bestiale, sono molti dei suoi senatori.
E la cosa più incredibile è che il partito che in due giorni ha fatto un voltafaccia di 180 gradi tradendo clamorosamente il mandato degli elettori per arruolarsi nelle truppe del principale avversario della sua coalizione giudica “traditore” il senatore che vuole rimanere fedele al suo vecchio schieramento, e annuncia che lo espellerà dal partito “per indegnità”. Un partito “indegno” se mai ce n’è stato uno, che fa del clientelismo inteso nel modo più miserabile la sua ragione di esistere, dà patenti di indegnità a un suo aderente che vorrebbe mantenere la propria dignità politica. La cosa è allucinante, ma ancora più allucinante è che questi personaggi forse neanche se ne rendono conto. Ma quello che personalmente non potremo mai perdonare a Mastella, lasciatecelo dire, è che abbia profanato, leggendola quasi integralmente nella sua dichiarazione di voto, “L’ardente pazienza”, la poesia di Neruda che forse più amiamo – con il suo leit motif “Per non morire lentamente” – tant’è che per gli auguri di fine 2005 l’abbiamo offerta in dono ai nostri lettori. Adesso si scopre che secondo gli editori non sarebbe realmente da attribuire a Neruda, ma anche se così fosse non cambia molto, anche Omero si è visto attribuire cose forse non sue, a cominciare dall’Iliade. E certo il povero Neruda, che ha pagato le sue idee politiche con quattro anni di esilio, si è rivoltato nella tomba a sentire fare il suo nome e leggere versi a lui attribuiti da un personaggio come il capo dell’Udeur. Il quale “per non morire lentamente” (e non per trarre nella prossima legislatura copiosi vantaggi politici dal nuovo vincitore), sarebbe dunque passato al Polo della libertà. Ma Mastella stia tranquillo, non corre certo il rischio di morire lentamente uno come lui, che interpreta per naturale vocazione e in modo esemplare, qualunque cosa faccia e comunque sia schierato, l’aspetto più penoso della politica, un aspetto che purtroppo non morirà mai.
8.
Solo due parole su quello che può essere il nostro prossimo futuro. Non entriamo nel merito delle sottili disquisizioni e anticipazioni sui governi tecnici o istituzionali, sulle leggi elettorali sì o no, sui Vassallum alla Veltroni o sui Porcellum alla Calderoli.
Saltiamo questa fase e guardiamo alla realtà dei prossimi mesi. E purtroppo questa realtà ci dice che a meno di miracoli – ma non sembra che la Binetti farà nulla per provocarli – tra non molto saremo in mano di nuovo ai Calderoli, ai Borghezio, agli Alemanno, agli Storace, ai Buontempo, ai Bondi. Tremonti cancellerà e capovolgerà tutto quello che ha fatto Visco, la Moratti tutto quello che ha fatto Fioroni, Sirchia tutto quello che ha fatto o non ha fatto la Turco. Il cardinale Bagnasco – ci sono anche le sue manine in questa crisi – sarà chiamato a partecipare come osservatore alle riunioni del Consiglio dei ministri, i finanziamenti alla Chiesa e alle sue istituzioni raddoppieranno. I 67 professori che hanno detto no a Ratzinger saranno licenziati. Clemente Mastella riceverà l’incarico di ministro della Funzione pubblica, con competenza su tutte le graduatorie dei concorsi. Certo non si risolveranno né i problemi dell’emergenza giustizia né quelli dell’emergenza energetica né quelli dell’emergenza scuola. Ma non importa. Berlusconi governerà per tre anni e poi, quando il disastro di questo paese sarà definitivamente consumato, darà le dimissioni e si trasferirà nelle sue ville ai Caraibi insieme alle candidate veline delle ultime selezioni per Striscia. Bondi volerà in Thailandia in fuga d’amore con Cicchitto. Bertinotti in crisi religiosa riparerà in un convento sul Monte Athos utilizzando l’aereo di stato ancora a sua disposizione come presidente emerito della Camera. Noi saremo qua – se Lassù ce lo permetteranno – a pagare il prezzo di questa classe politica e di questi governi. Del resto, chi è stato a votarli?
9.
Proviamo a concludere. Evidentemente dev’esserci qualcosa nei nostri “spiriti animali” che, contrariamente a quello che spera il nostro Presidente, ci sta portando all’autodistruzione. I nostri governi non lavorano per addizione ma per sottrazione. Non migliorano e arricchiscono quello che ha fatto il governo precedente, lo distruggono. Colpa di un bipolarismo primitivo basato sulla contrapposizione pregiudiziale, che ha preso il posto del vecchio centrismo basato sul dialogo e sulla capacità di condivisione.
Adesso è possibile ci salvi un ritorno al vecchio centrismo: molte forze (a cominciare da Veltroni, come abbiamo detto sin dalla sua nomina a capo del Pd) insieme ai famosi poteri forti, stanno lavorando in questa direzione. Ma sarà un centrismo diverso da quello di una volta, privato di quel tanto di creatività, spirito di socialità e laicismo che potevano dare le vecchie componenti dei socialisti e dei repubblicani. Un centrismo più conservatore, più repressivo, più codino. In cui le pubbliche virtù copriranno – in un paese che perderà sempre più posizioni nel confronto internazionale – i vizi privati in crescita. Ci piange il cuore per non riuscire a vedere scenari diversi.
Peggio per noi ma tanto peggio per chi ha figli giovani. Ci sentiamo di consigliarli di mandarli in Spagna, in Francia (guardate cosa sta facendo il suo Presidente con l’incarico affidato ad Attali), in Irlanda, in Inghilterra, a New York, come suggerisce il nostro amico Stefano Spadoni. Qua ci prepariamo al rompete le righe e all’arrivo delle cavallette che rimetteranno le cose a posto. Ci sarà da ridere quando arriveranno Bossi, Castelli e Calderoli. E finalmente la Rai potrà trasmettere la fiction su Federico Barbarossa.
“Something rotten in state of Italy” ha titolato ieri, parafrasando Shakespeare, Bbc news. E ha aggiunto: “Amid the mountains of rubbish that have been lining the streets of Naples, there is a strong sense that something has gone badly wrong in Italy. It is a story symptomatic of the country’s failure to deal with the cronyism and the rampant corruption in its midst”. Abbiamo controllato sul vocabolario, rotten significa marcio, putrido, corrotto, disgustoso. Scegliete voi.
* Da contrappunti.info per gentile concessione del direttore responsabile professore Giancarlo Fornari