Sull’atlante geografico, le Filippine sono un arcipelago nell’Oceano Pacifico di oltre settemila isole, di cui solo 2000 abitate da 87 milioni di persone e ben 18 milioni di anime solo nella capitale Manila, una megalopoli segnata da mille problemi e contraddizioni di carattere socio-ambientale. Nelle campagne vige ancora un’economia agricola, basata sul lavoro duro ed antico dei contadini nelle risaie, il cui raccolto è messo a dura prova dalle improvvise alluvioni che tracimano cose, capanne ed uomini sospinti dalla furia delle acque e dei monsoni. C’è poco da stare allegri, in una terra ancora così povera, che ha sopportato dittature ed imposizioni durissime, che stenta ad assicurare target di vita accettabile a tutti i suoi abitanti. Questa è terra di missione, questo è porto di solidarietà per quanti null’altro hanno se non il senso della condivisione della vita. I filippini, che abbiamo imparato a conoscere numerosi nelle nostre città, sono d’aspetto minuto, gentili e sorridenti, sembrano portare sulle spalle il retaggio ancestrale di una vita semplice ed umile nella quale si può godere di tante piccole cose, affidandosi con la preghiera al buon Dio. (N.B.: la foto è tratta dal sito maxilpoeta.splinder.com del poeta Massimo Verrina)
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Cattolicissimi, si sono trovati a confrontarsi con i musulmani dell’Indonesia confinante e con l’immigrazione interna di Mindanao, la più meridionale delle isole; qui la Chiesa missionaria ha il suo gran da fare, per far convivere i cristiani con 38 gruppi musulmani, 138 gruppi tribali, che parlano 138 dialetti, in una relativa pax di convenienza. C’è la necessità di far superare le diversità, perché abbia fine un conflitto che dura da più di 65 anni e rappresenta lo stridente contrasto tra la politica dei governanti e quel che sono i bisogni e le aspettative degli abitanti. L’epicentro della tensione è proprio a Mindanao, l’unica isola dove la popolazione musulmana è il 35%, con insediamenti a chiazze di leopardo e zone dove gli islamici arrivano al 90%. La diversità di Mindanao ha radici molto antiche. Quando sbarcò Magellano nel 1521, scoprì che due secoli prima lo avevano preceduto i predicatori musulmani dall’Indonesia. Quando il re di Spagna Filippo II si appropriò di queste isole affibbiandogli il proprio nome nel 1565, la flotta dell’ammiraglio Miguel Lopez de Legazpi si trovò di fronte un avversario che conosceva molto bene. Erano passati appena pochi decenni da quando la Reconquista ispanica aveva cacciato gli Arabi dall’Andalusia. E qui gli Spagnoli furono subito alle prese col sultanato maomettano di Jolo, ponte strategico fra Mindanao e l’Indonesia. La sfida tra il cristianesimo e l’islam si riproduceva identica; la linea del conflitto che aveva insanguinato la vecchia Europa attraversava queste settemila isole in capo al mondo. Gli spagnoli li chiamarono subito “moros”, come quelli di casa loro. Attualmente sull’isola di Jolo il Vescovo ed i sacerdoti possono girare solo sottoscorta, perché la loro vita è appesa ad un filo. Il pregiudizio spesso non permette di vedere una realtà diversa e il non voler leggere dentro le cose genera dissenso e spesso odio. Il musulmano integralista ingabbia la sua vita nell’applicazione rigida della legge divina, senza tener conto dell’altra faccia dell’islam fondamentalista, che oggi sembra in crisi perché combattuto dal progresso e dalla modernità. Se i rapitori di Padre Bossi pregavano con il kalashnicov imbracciato e considerano noi cattolici infedeli e peccatori, è perché ancora hanno una visione talebana della religione e della vita; questo è un aspetto dell’islam, non tutto l’islam. Ne è del tutto convinto padre Nicelli, missionario del Pime nelle Filippine, confratello ed amico di Padre Bossi, per il quale ha fortemente temuto durante il rapimento ad opera degli integralisti musulmani. Lui che per sette anni è stato in quella terra di missione, da testimone vero di una realtà che noi conosciamo solo tramite l’informazione (spesso di parte )dei mass-media, ci ha raccontato della bontà, della solidarietà, dell’operosità del popolo filippino, che pure tra tante angustie, non ha perso il sorriso e la speranza. E’ questa ancora la Chiesa della povertà e dell’umiltà, pronta a soccorrere il fratello in difficoltà, a spezzare il pane della sofferenza, a condividere una ciotola di riso in un atto di agape fraterna. Quando la ragione del particolare e dell’interesse privato non schiaccia le regole della convivenza, quando al centro dell’attenzione c’è la persona e non l’ideologia, è possibile il dialogo e l’accettazione dell’altro in un confronto di civile dialettica, ma se la politica degli Stati regolata da ragioni di carattere economico e sociale condiziona pesantemente la vita delle persone, la tensione aumenta ed il lavoro paziente e certosino di tanti operatori di pace viene annullato e sacrificato in un batter d’occhio sull’onda della violenza che si propaga cieca e distruttiva. Ai tanti missionari che hanno offerto la propria vita per testimoniare il Vangelo e portare la buona novella fin laggiù, dedichiamo il nostro grato ed affettuoso ricordo, perché essi sono i nuovi martiri della Chiesa, forse più numerosi di quelli delle origini. Questo e tanto altro ha raccontato padre Nicelli nel corso dell’appassionata relazione che ha tenuto, alla presenza di tanti giovani della nostra Diocesi, domenica 11 novembre, in occasione della prima giornata organizzata dal CDV, diretto con avveduta lungimiranza dal Rettore del Seminario Vescovile, don Stefano Rega. Gli interventi ed i calorosi applausi hanno sottolineato il gradimento del pubblico presente, che ha potuto “de visu” conoscere l’opera insostituibile e gratuita dei nostri missionari che, nonostante le comprensibili difficoltà, sono sempre pronti a ripartire verso terre lontane e disagiate. La lezione di vita di padre Nicelli rincuora e rivitalizza la fede, nutre di operosità il servizio alla Chiesa, insegna con i fatti che un altro modo di spendere il dono della vita è possibile. In precedenza, ai tanti convenuti nella Cappella, in un clima di sincero raccoglimento e di fervida preghiera per le vocazioni, S.E. il Vescovo Mario Milano non aveva lesinato l’invito a trovare con il cuore il senso della vita, a non lasciarsi ingannare dai falsi dei della società consumistica ma, invece, a trovare in tanto buio la speranza dell’incontro con il Signore che sa orientare i nostri timidi passi e sostenere il nostro cammino.