E dunque ecco a noi Veltroni, incoronato re del Pd dal voto di oltre due milioni di cittadini, iscritti e non iscritti, di sinistra, di centro o agnostici, sedotti dalla sua immagine di bravo ragazzo che non va ai reality politici, non dice parolacce e rispetta il suo avversario, dalla sua aureola di sindaco “che amministra bene” e mette d’accordo tutti. Veltroni da sindaco di Roma a sindaco d’Italia, Veltroni “il nuovo che avanza”? Ma no – si è affrettato a dire un Prodi sempre più cotto, tanto che adesso non riesce più neppure a trovare il seggio – “siamo nati e cresciuti insieme”. Come dire: se credete che io sia la politica vecchia e brutta e lui la politica bella e giovane vi sbagliate di grosso, lui non è diverso da me (sottinteso: perché dovreste pensare che migliorereste le cose mettendolo al mio posto?). Ma l’ossessione di Prodi – restare incollato alla poltrona fino alla fine della legislatura – non è quella degli italiani, come dimostra il drammatico crollo della fiducia collettiva nel suo governo, accertato da tutti i sondaggi. Veltroni, che oggi ha realizzato – così dice – “il sogno di una vita”, sembra capace di far sognare anche milioni di italiani. Che anche il loro sogno possa realizzarsi è, purtroppo, meno probabile
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Il virus endemico, inconcludenza da eccesso di mediazione
Che il sindaco di Roma sia la soluzione, rebus sic stantibus, appare in realtà discutibile. Più facile pensare che Veltroni – se rimane quello che è sempre stato – sia esso stesso parte del problema. Abbiamo avuto finora un governo che ha dimostrato di essere capace di decidere una cosa sola, non decidere. Abbiamo un’Alitalia ridotta al fallimento da una storia infinita di malagestione politico-sindacale, che continua a perdere più di un milione al giorno – soldi nostri – mentre i partiti di governo si scontrano per capire a quale pretendente conviene (a loro) venderla. Una Tav che oggi deve passare di qua e domani di là e intanto rimane sospesa per aria mentre l’Europa ride di noi. Un Presidente del Consiglio che nello scontro televisivo con Berlusconi aveva solennemente proclamato che appena arrivato a palazzo Chigi avrebbe sbloccato l’infinita storia del rigassificatore di Brindisi, e che una volta al governo ha dovuto incassare – facendo finta di niente – l’opposizione truculenta di sindaci e ambientalisti facenti parte della sua stessa coalizione. Lo stesso Presidente del Consiglio che firma un accordo con i sindacati dichiarando che neanche il Parlamento dovrà cambiarlo e a due mesi di distanza – quando tre milioni e mezzo di lavoratori lo hanno approvato – lo cambia senza neppure consultare la controparte che lo ha firmato. Salvo poi doversi rimangiare i cambiamenti dopo l’ovvia protesta degli interessati.
Sappiamo tutti che alla radice di queste situazioni ci sono due elementi, l’esiguo margine parlamentare su cui conta il centro sinistra e l’incapacità del leader di affermare una linea politica coerente, stretto com’è tra il fronte riformista e quello massimalista della coalizione. Due fronti l’un contro l’altro armati, d’accordo solo nel non essere d’accordo su nulla. Il pacchetto sicurezza, varato tra squilli di tromba dal ministro dell’Interno? Non piace alla sinistra radicale, niente decreto legge, se ne parlerà la prossima legislatura.
In questa situazione non c’è da meravigliarsi se abbiamo un governo bloccato tra continue oscillazioni ed estenuanti mediazioni. Un governo che fa solo finte di corpo a centro campo rimanendo fermo sul posto. Difficile che riesca a segnare qualche goal.
Veltroni, fenomenologia di un sindaco-santo
Se il male dell’attuale compagine è l’eccesso di mediazione con la conseguente incapacità di decisione, è molto dubbio (lo abbiamo già scritto) che Veltroni – il Grande Accordatore, il Mediatore Per Eccellenza – possa essere l’uomo giusto al posto giusto. Di lui è ben nota la capacità di districarsi da ogni situazione spinosa senza mai compromettersi mediante esternazioni che potremmo definire “a pendolo”, nelle quali per evitare ogni rischio invariabilmente si copre prima a sinistra e poi a destra, e viceversa.
A dicembre 2005, nel pieno di una feroce polemica Prodi-Fassino, dichiara: “Sono vicino a Piero ma capisco le ragioni di Prodi”. E certo, come no? Più di recente ha fatto sapere che era d’accordo con il referendum sulla legge elettorale ma non lo firmava. Nello stesso stile le ultime dichiarazioni in tema di indulto: “Mi rendo conto dei suoi effetti negativi ma capisco le ragioni della legge”.
Veltroni capisce troppo e capisce tutti: le ragioni di Abele ma anche quelle di Caino, quelle dei derubati ma anche quelle dei ladri, quelle dei palestinesi ma anche, naturalmente, quelle degli israeliani. Alle medie stava con i greci ma anche con i troiani, al liceo con Robespierre ma anche con Luigi XVI, con Garibaldi ma anche con Pio IX. E’ notoriamente juventino ma però anche un po’ romanista (le due tifoserie forse più nemiche) e non nasconde, all’occorrenza, anche qualche simpatia per la Lazio…
Il diavolo e l’acqua santa
Le sue liste per le primarie hanno messo insieme il mangiapreti nega-dio Odifreddi e l’autofustigante Binetti, e c’è da temere che il nuovo partito fatto a sua immagine e somiglianza riuscirà, come lui, a dar ragione a tutti senza mai scontentare nessuno.
Anche per questo, contrariamente a quanto con l’aiuto dei media suoi amici è riuscito a far credere, non è che la sua gestione della capitale abbia prodotto gran bei risultati, se è vero che i romani “godono” di un non invidiabile secondo posto quanto a prelievo fiscale locale: 690 euro annui pro-capite (con un aumento del 16,8 % nell’ultimo anno) contro una media italiana di 439 euro (con un aumento dell’8,5%). Se è vero che la città è sempre più sporca, e la raccolta differenziata dei rifiuti non è mai decollata. Se è vero che le infinite guerre dichiarate con grande enfasi agli illegali, agli abusivi, ai writers, sono finite con altrettante sconfitte. Se è vero che i tassisti – contro i cui abusi aveva promesso soluzioni finali – si apprestano a ricevere un congruo aumento di tariffe senza aver ceduto un millimetro sulle licenze e sui controlli satellitari. E addirittura il sindaco ha affidato ai consorzi dei tassisti stessi il controllo sulla regolarità dei tassametri (figuriamoci che rigore) togliendolo ai vigili perché costava troppo in straordinari – certo, soldi con i quali si può organizzare qualche bel concerto. Se è vero che insieme a Rutelli è responsabile della cementificazione fatta dai suoi amici costruttori di ogni area scoperta di Roma e della campagna romana, cementificazione che lui è stato tanto abile da far passare per “riqualificazione”. L’ultimo prodotto di questa bella alleanza è un complesso commerciale fatto di ben 240 negozi e 30 ristoranti sulla Colombo tra Eur e Torrino, cioè in piena città: trascurando completamente gli effetti che questo nuovo ecomostro potrà avere, insieme a tutti gli altri in costruzione, sulla viabilità, l’ambiente, gli allacciamenti fognari, il rifornimento di acqua. Se è vero che è volato a Bucarest annunciando visionariamente che avrebbe fermato l’eccessivo afflusso di romeni (e soprattutto di Rom romeni) nella capitale creando posti di lavoro in Romania e offrendo a tutti loro una casa. Chissà come e con quali mezzi. Intanto i Rom, ora cittadini europei, continuano ad arrivare come e più di prima. Forse non hanno saputo che nel loro Paese Veltroni gli sta organizzando un lavoro e preparando casa.
Se è vero – a proposito di temi etici – che il sindaco si è guardato bene dal rispondere alla lettera aperta che su Repubblica gli ha indirizzato il Presidente della Commissione Sanità del Senato Ignazio Marino, per chiedergli di pronunciarsi sul progetto di legge sul testamento biologico che ci sarebbe imposto anche da una Convenzione internazionale e che però è fermo in quanto osteggiato dal Vaticano e quindi dall’ala fondamentalista dello schieramento cattolico. Non ha risposto perché se si fosse espresso in un senso o nell’altro il suo catto-laicismo che abbraccia i trecentosessanta gradi dello spettro ideologico-politico avrebbe potuto entrare in crisi; e niente disturba più il Grande Mediatore che dover fare una scelta drastica. Perché lui è uno che crede che si possa mangiare la torta e nel contempo conservarla. Almeno questo è quello che è sempre riuscito a fare fino ad ora.
Un capitale sperperato
Detto questo sulla funambolesca abilità di vendere fumo di Walter I-care/open-minded Veltroni – e ci fermiamo per non annoiare il lettore – sarebbe però sbagliato sottovalutare il significato che ha avuto la giornata delle primarie.
Certo, in manifestazioni come questa non è mai tutto oro quello che riluce, e la partecipazione di un giorno non serve se non si trasforma in un’adesione prolungata. Non c’è dubbio tuttavia che la grande partecipazione di queste primarie, al di là delle contestazioni lanciate sulle sue effettive dimensioni, costituisca un importante capitale politico. Più importante ancora di quello dell’ottobre 2005, in cui il collante era solo l’avversione se non la ripugnanza verso personaggi come Berlusconi e la sua banda di sodali alla Cesare Previti.
L’augurio è che questa classe politica non riesca a sperperare questo capitale di oggi così come è riuscita brillantemente a fare con quello del 2005. Sprofondando nel ridicolo sin dall’inizio, quando Romano Prodi, pur di accontentare le bramosie di ogni briciola della coalizione, ha esordito presentandosi con la più vasta compagine ministeriale della nostra storia. Elevando a Guardasigilli un guitto della politica. Deludendo gran parte dei suoi elettori con un indulto concepito – a parole – per sfollare le carceri ma poi esteso anche ai reati dei colletti bianchi e alle sanzioni monetarie. Tollerando che ministri si esibissero a Piazza Montecitorio gridando insulti contro il loro stesso governo.
L’incontinenza verbale
Ma di motivi per dar ragione ai Grillini ed essere insoddisfatti di questo governo ce ne sono fin troppi. A cominciare dall’incontinenza verbale di quasi tutti i suoi componenti, i quali ignorano, evidentemente, che il Consiglio dei ministri è un organo amministrativo, non un organo politico, e che i suoi componenti dovrebbero astenersi – come fa qualunque consigliere di amministrazione – dal commentare o peggio dal criticare le decisioni dell’organo collegiale. Stendiamo un velo sulle esternazioni di Ferrero o di Padoa Schioppa, che infarcisce i suoi discorsi di dotte citazioni di classici greci salvo poi scadere in luoghi comuni da scompartimento ferroviario tipo chiamare i giovani bamboccioni o abbandonarsi alla mistica delle tasse. Stendiamo un velo anche sulle trovate della Turco, forse il peggior ministro della salute che abbiamo mai avuto (il vituperato Sirchia almeno ha al suo attivo il coraggio di mettere il divieto di fumo nel locali pubblici) che ha pensato bene di spendere un milione e mezzo di euro per pubblicizzare – certo un bisogno impellente – il servizio sanitario nazionale utilizzando una bella facciona truccata improbabilmente da infermiera che esibisce un sorriso a trentadue denti (ma che c’è da stare allegri, potrebbe chiedere uno dei tanti malati che deve aspettare sei mesi per un’ecografia), il tutto completato dall’originalissimo slogan “Pane, Amore… e Sanità”. Roba che i nostri studenti di Scienze della comunicazione avrebbero saputo fare meglio, e gratis. Non parliamo dei capi partito come Giordano, che definiscono “inaffidabile” il governo di cui fanno parte. Il tutto all’insegna del “facciamoci del male” perché la gente non dimentica e queste esternazioni non potranno non pesare quando prima o poi sarà chiamata ad esprimere il proprio voto.
Il rimorchio mediatico
In questo primo anno del premierato Prodi abbiamo avuto lo spettacolo di un governo che naviga a vista pronto a inseguire, come un cane da riporto, il fatto del giorno lanciato all’opinione pubblica dall’universo mediatico. L’Espresso denuncia lo sfruttamento degli extracomunitari da parte dei produttori di pomodori? Subito il ministro della solidarietà e quello del lavoro si scandalizzano e annunciano provvedimenti e ispezioni. Lo stesso Espresso mette in copertina il “Policlinico degli orrori”? Ecco che la ministra della salute si straccia le vesti e minaccia provvedimenti e ispezioni. Milena Gabanelli mette in piazza abusi e malversazioni, e subito il ministro di turno assicura provvedimenti e ispezioni.
Ma da dove vengono, dove vivono queste persone che non sanno letteralmente nulla di ciò che avviene sotto i loro occhi? Cosa fanno, perché non si informano tramite le loro centinaia o migliaia di collaboratori? E il ministro della Giustizia, possibile debba apprendere guardando “Striscia la notizia” che mentre si parla tanto di sovraffollamento dei detenuti esiste forse una decina di carceri costruite e mai utilizzate?
Che ci sia un giornalismo agguerrito, di denuncia e di ricerca, è una condizione importante perché un paese sia veramente democratico, Nixon sarebbe rimasto presidente fino al termine del mandato se non fosse stato per il coraggio di due giornalisti del Washington Post. Ma se per essere informati e prendere provvedimenti contro lo sfruttamento degli immigrati, l’indecente stato di alcuni ospedali o gli sperperi continuati di risorse pubbliche i nostri ministri devono attendere la denuncia dei giornalisti allora siamo veramente messi male.
I collant del Senato
Si racconta che quando la statua del David era quasi ultimata, il gonfaloniere della Repubblica Fiorentina Piero Soderini si recò ad ammirarla. Dopo averla a lungo osservata si rivolse al maestro dicendo che a parer suo il naso del David era troppo grande. Michelangelo cercò di convincerlo del contrario, ma visto che il gonfaloniere insisteva ci pensò un po’ su, poi raccolse di nascosto nel pugno un po’ di polvere di marmo e salito sull’impalcatura fece finta di correggere con uno scalpello il presunto errore lasciando cadere un po’ alla volta dalla mano i granelli di polvere. Una volta ridisceso chiese a Pier Soderini cosa pensava del naso. “Adesso sì che è perfetto” disse soddisfatto il gonfaloniere.
Non diversamente sta accadendo a proposito dei privilegi della cosiddetta Casta. Ovviamente noti da tempo e mai amati dai cittadini. Documentati e denunciati, poco prima delle ultime elezioni, anche da due eminenti parlamentari, Cesare Salvi e Massimo Villone, in un importante libro da noi recensito. Secondo i loro calcoli il personale politico, contando anche incaricati e consulenti, dovrebbe raggiungere un totale di quasi mezzo milione di “operatori” per un costo complessivo non inferiore ai 3-4 miliardi di euro. Una parte di questi costi è giusta e legittima, altrimenti potrebbero fare politica solo i ricchi e gli affaristi. Ma è doveroso domandarsi – scrivevano Salvi e Villone – quanta parte di essi è davvero necessaria, quanta parte costituisce invece un inaccettabile spreco di risorse, e quanta ancora è “fattore di corrompimento e degenerazione non solo della politica ma anche di aree crescenti della società attirate dal potere e dal suo uso disinvolto”.
In una fase in cui è in continua crescita il numero degli scontenti e degli astenuti, quella che gli autori chiamano la questione dei costi impropri della politica “appare dunque cruciale – scrivevamo all’epoca – per il futuro del nostro sistema democratico. Eluderla con sufficienza come se fosse vuoto moralismo è la cosa peggiore che una classe politica intelligente potrebbe oggi fare”.
Ebbene, la denuncia del libro – presentato con grande rilievo alla Stampa Estera alla presenza di Casini e Massimo D’Alema – dopo le elezioni è rimasta lettera morta. E solo una prolungata campagna del Corriere e il rumoroso assedio di Beppe Grillo e dei suoi 300.000 sono riusciti a scuotere un po’ un mondo politico fino ad allora impermeabile ad ogni critica e convinto che tutto gli fosse dovuto, dal parrucchiere gratis al portaborse da pagare in nero.
Un po’ di polvere dal naso…
Precisamente come Michelangelo di fronte alle critiche al David, la classe politica fa ora finta di assecondare le proteste, promette tagli ma poi lascia tutto come prima. In un surreale gioco delle parti il governo chiede al parlamento tagli e sacrifici, il parlamento ribatte indispettito chiedendoli al governo, entrambi li chiedono agli enti locali che si difendono rimandando la palla a governo e parlamento. Intanto nulla si muove, e anzi nella busta paga dei senatori da agosto ci sono 200 euro netti in più, moltiplicati per otto (gli arretrati dell’anno). La decisione presa a inizio legislatura dal presidente Bertinotti di consentire a microgruppi come Verdi, Pdci, Rosa nel pugno, Nuovo Psi, Udeur, la creazione di gruppi parlamentari (con i conseguenti costi per gli uffici e per il funzionamento del gruppo) in deroga al regolamento, ha portato maggiori spese per circa 15 milioni di euro. Ma i microgruppi “sono espressione di pluralismo”, si è difeso l’Operaista al Cachemire Bertinotti. Che gliene importa dei 15 milioni? tanto non sono soldi suoi…
E quest’anno il bilancio del Senato è arrivato a costare quasi un miliardo, con un aumento del 2,77 per cento rispetto al 2006. Per i corsi di lingue degli onorevoli senatori si spendono 200 mila euro. Tra le iniziative culturali c’è perfino un corso per sommelier, è bello vedere come si perfezionano. Per ristoranti e buvette se ne vanno due milioni e ottocentomila euro, con un aumento del 3,31 per cento rispetto al 2006. Nell’allegato relativo ai contratti pluriennali, riferisce il Corriere, spicca quello relativo al vestiario di servizio: la ditta Di Porto ha un contratto di 32.700 euro per fornire calze per i commessi e collant per le commesse.
Intanto si apprende – è notizia di ieri – che i soldi stanziati per la ricostruzione nei comuni del Molise colpiti dal terremoto del 2002 sono stati distribuiti a pioggia su tutti i comuni della regione, compresi quelli non colpiti: tra i finanziamenti figurano anche quelli erogati per il Museo del Profumo di Sant’Elena Sannita e per il monitoraggio degli spostamenti delle api melliflue di Trivento. Il tutto gestito pressoché discrezionalmente da una sola persona, il Governatore molisano Michele Iorio di Forza Italia, al quale l’allora Premier Berlusconi conferì pieni poteri per la ricostruzione.
Un paese nella palude
Ma i costi impropri non sono solo quelli degli sperperi clientelari o dei privilegi della massa sempre crescente dei professionisti della politica, sono anche, e forse soprattutto, quelli derivanti dalla sua incapacità di prendere decisioni sui problemi che contano. Questa rivista era nata – avevamo scritto nell’ormai lontano agosto 2005 – con l’intento di dare un contributo per contrastare la deriva di “un paese che continua a perdere posizioni in termini di efficienza, modernità, competitività”.
Da allora le cose non sono certo migliorate: restiamo all’ultimo posto tra i paesi nostri competitori quanto ad investimenti esteri, il nostro debito pubblico, come ci ha ricordato il Commissario Almunia, è tuttora il più elevato dell’Ue (il che significa maggiori spese per interessi e quindi maggiori necessità di copertura tramite tributi, ovvero minori possibilità di spesa sociale e per investimenti, mano a mano che salgono i tassi); in Italia sono le più elevate al mondo le spese di famiglie e aziende per l’energia: per le aziende 140 euro ogni 1000 Kw contro le 97 del Giappone, le 80 dell’Irlanda, le 70 di Regno Unito, le 67 della Spagna, le 45 di Usa, le 40 della Francia, le 35 della Norvegia. La nostra energia deriva per due terzi da gas e petrolio, manca il nucleare, le energie rinnovabili crescono lentamente e spesso – vedi l’eolico – sono osteggiate “per motivi estetici” dai Verdi (come se fossero belli i giganteschi tralicci della rete elettrica o dei ripetitori televisivi o telefonici che fanno mostra di sé sulle creste delle nostre montagne).
L’ansia redistributiva – una specie di “ansia da prestazione” che affligge soprattutto i politici della sinistra radicale – fa dimenticare che questo paese avrebbe bisogno prima di tutto di grandi investimenti in settori caratterizzati da strutture ormai obsolete o malfunzionanti, come le ferrovie, l’energia, la scuola, l’università, la giustizia. Non c’è meraviglia che fra tutti i paesi europei siamo quelli che crescono meno, come ha coraggiosamente ammesso lo stesso viceministro Visco. In questa situazione la condanna all’arretramento, all’imbarbarimento, alla perdita di posizioni nei confronti dell’Europa – e soprattutto dei paesi caratterizzati da una forte volontà di crescita, come ad esempio la Spagna – diventa ineluttabile.
E cerchiamo di dimenticare, come fanno anche i ministri del nostro governo, compreso quello dell’interno, che intere regioni del Mezzogiorno vivono nell’illegalità, sottomesse più alla forza della criminalità organizzata che a quella dello Stato, per la verità pressoché inesistente. Una criminalità che sposta sempre più a nord il. suo raggio d’azione e che come una metastasi si sta allargando minacciosamente sull’intero paese.
Anvedi quanto piangono
Ma se almeno la sinistra massimalista che vuole far piangere i ricchi e dare tutto ai poveri riuscisse minimamente nel suo intento, qualche giustificazione potrebbe averla. La realtà è che si sta verificando tutto il contrario, perché molti dei “poveri” su cui si fanno stolidamente cadere a pioggia le misure redistributive sono ricchi evasori mascherati da poveri che così frodano due volte la collettività. I redditi dei lavoratori e dei pensionati sono quasi gli unici su cui si applica la tassazione progressiva, mentre i ricchi investitori beneficiano della cedolare secca del 12,5 per cento sulle loro rendite.
Le spese delle amministrazioni pubbliche anche con la finanziaria in corso di approvazione continueranno ad assorbire il 40% del reddito nazionale. Questa cifra non è né troppo alta né troppo bassa. Il problema – come ha messo in rilievo Giavazzi – è che la nostra spesa pubblica non aiuta i cittadini che più ne avrebbero bisogno.
“Non finanzia sussidi di disoccupazione generalizzati; non aiuta le famiglie con figli piccoli (certamente non tanto quanto esse sono aiutate in Paesi in cui lo Stato spende di meno, come in Gran Bretagna); non finanzia borse di studio; non fa quasi nulla per aiutare i poveri e le famiglie a rischio di povertà. Al 20% delle famiglie più povere va solo il 12% di tutto quello che spendiamo in welfare, contro il 34% in Gran Bretagna, il 25% in Svezia, il 20 in Germania e Francia. Un terzo dei fondi stanziati a luglio per aumentare le pensioni minime andranno a famiglie che appartengono alla metà più ricca del Paese: il 10% più povero riceverà le briciole, solo il 12%. Le imprese, pubbliche e private, ricevono, sotto forma di aiuti pubblici, 15 miliardi di euro l’anno: denaro che spesso non va agli imprenditori più meritevoli, ma a quelli più abili nel frequentare le cene romane e i corridoi ministeriali. Quando i nostri figli andranno in pensione, in Italia vi saranno sette anziani ogni dieci persone in età di lavoro. Cioè dieci persone in età di lavoro dovranno produrre abbastanza per sostenerne oltre 17. Ciononostante (come già aveva messo in evidenza Fernando Di Nicola su questa stessa Rivista, n.d.r.) per consentire ai cinquantottenni di oggi di andare in pensione a Natale – e con il metodo retributivo – il governo spende 10 miliardi, prelevandoli con un aumento dei contributi a carico dei giovani precari.”
Nello stesso tempo – grazie alle plusvalenze azionarie e soprattutto a quelle del settore edilizio, che sta realizzando una vera e propria “rapina legalizzata” di una fetta sempre più consistente del reddito nazionale – la ricchezza di pochi sta aumentando smisuratamente a spese dei molti e dei deboli. In questi giorni, annunciano le pagine economiche dei giornali, Caltagirone “ridisegna la cassaforte e guadagna 800 milioni”. Come? Ma è semplice, con le plusvalenze realizzate comprando e vendendo azioni: Mps, Acea, Vianini Lavori. Ma i soldi, tanti, vengono anche dal mattone: la sola Unione generale immobiliare – una delle tante holding, dicono i giornali, in questa filiera di scatole cinesi che vede la madre di tutte le controllate almeno cinque piani a monte delle controllate in Borsa – ha guadagnato ben 255 milioni. Anche la Caltagirone SpA ha registrato nel primo semestre 2007 90 milioni di utile, contro gli 81 del semestre corrispondente 2006. Sono i ricchi che piangono, buon per loro.
Primarie 2007, una partecipazione per cambiare
Ma torniamo infine a queste primarie, che per una volta, fatto anomalo per le scene politiche italiane, hanno visto una partecipazione all’insegna del “per”, e non del “contro”. Non all’insegna del “vaffa” tipo V-day, emblema dell’insoddisfazione ma anche dell’involgarimento progressivo in cui una classe politica sempre più rozza ha fatto cadere il paese (“voi non siete migliori di noi”, ha detto Prodi. Come se questa fosse una scusante). Una forma di contestazione che, non senza motivo, si colloca – sul piano espressivo – allo stesso livello della peggiore politica che vorrebbe combattere.
Ma non per questo movimenti come il Grillismo dovrebbero essere sbrigativamente catalogati e liquidati – osserviamo per inciso – come espressione dell’antipolitica, che come tale non porta da nessuna parte, distrugge solo invece di costruire.
Chiamano “Antipolitica” quella di Grillo come se la politica fosse l’incontro-scontro sempre più vano, volgare e inconcludente tra i Mastella e i Di Pietro, i Caruso e i Rutelli. Come se la politica fossero i Previti, i Borghezio, gli Storace. Come se la politica fosse Bertinotti, l’operaista che non si fa scrupolo di andarsene in vacanza con l’aereo di Stato e arrotando la erre mentre finisce di imburrare il crostino al caviale bolla il referendum – l’unica forma di democrazia diretta che abbiamo – come “antidemocvatico”, perché nel suo narcisismo senza limiti è convinto, con la stessa prosopopea di Luigi XIV, che “l’Etat c’est moi”, “La Democvazia Sono Io e Tutto Ciò Che Pvomana dalla Casta degli Eletti di cui Faccio Parte”. La stessa democrazia di cui si fa interprete il Sindaco di Firenze Domenici, che ai cittadini i quali si oppongono al suo progetto folle di far passare un tram lungo trenta metri a due passi dal Battistero che fu di Dante risponde imperterrito: “Le vostre critiche non m’interessano, sono stato eletto sindaco e quindi decido io”. Di cui appena ieri si è mostrata degna esponente la presidentessa del Piemonte Bresso, che richiesta di commentare le rivelazioni fatte da Report in merito a una pericolosa esposizione finanziaria della sua Regione (insieme a numerosi altri enti locali) per l’acquisto di prodotti finanziari derivati della bolla immobiliare americana ha detto testualmente: «Non credo di dover rendere conto a una trasmissione televisiva su una questione così complessa ed estremamente tecnica».
Quella dei Mastella e dei Rutelli, degli Storace e dei Bertinotti non è politica ma antipolitica, la “vera” antipolitica. Come è antipolitica quella di De Gregorio, questo campione della democrazia repubblicana che non si vergogna di ammettere di aver ricevuti lauti finanziamenti dal capo dello schieramento contro il quale si era battuto in campagna elettorale – finanziamenti che nulla hanno a che vedere, naturalmente, con la scelta di abbandonare lo schieramento grazie al quale era stato mandato alla Camera.
Il rischio di Veltroni (e il nostro)
In conclusione. Al di là del ribellismo grillista, che comunque ha i suoi meriti, la numerosa partecipazione a queste primarie identifica un’altra corrente finora rimasta sotterranea, ignorata dagli umori e dagli schiamazzi del sistema politico. Quella di una massa di persone che non contesta la politica come tale ma al contrario le chiede di essere quello che la parola politica veramente dovrebbe significare: cioè serietà, rigore, voglia di fare e non solo di parlare e sproloquiare. Voglia di cambiare mettendosi in gioco e non solo di lasciare le cose come stanno per poter rimanere al potere.
Il vero messaggio di queste primarie, più ancora che un’investitura a Veltroni, esprime una richiesta – purtroppo quasi sconfortata – di cambiamento. Un po’ come quelle processioni che si facevano e forse si fanno ancora nei paesi del sud per invocare la pioggia dopo mesi di siccità, con il Santo portata a spalla per le strade e invocato devotamente: “Santo Gualtiero facci la grazia, sei l’ultima speme”.
E’ chiaro (e Veltroni che è una persona indiscutibilmente ai limiti del genio – visto quello che ha saputo fare – l’ha sicuramente capito) che questa gente, “questa” volta, non si accontenterà di parole. Non si accontenterà di promesse. Questi tre e più milioni di persone – ma il discorso vale anche se i votanti effettivi fossero stati di meno, perché si può estendere alla quasi totalità degli italiani – sono stanchi non tanto dei privilegi di cui fruisce questa pletorica classe politica quanto soprattutto della sua inconcludenza, della sua rumorosità, della sua vanità. Sono stanchi di sentire blaterare di tolleranza zero oggi contro i lavavetri, ieri o domani contro i guidatori ubriachi assassini, i pedofili, i piromani, i bulli, i venditori abusivi, gli inquinatori, gli stupratori, i corrotti e i corruttori quando si sa sin dall’inizio che tutti questi proclami rimarranno solo aria fritta, flatus vocis. Sono stanchi di vedere gli occupanti abusivi premiati con sanatorie e per di più con la cessione a prezzo di svendita degli appartamenti come sta facendo in questi giorni la regione Lazio. Stanchi di risse volgari che avvelenano il confronto politico e non consentono di prendere le decisioni che contano per il bene del paese ma solo quelle che contano per danneggiare la parte avversaria.
Veltroni, con il suo buonismo a volte anche eccessivo, con il suo stile comunicativo fatto di rispetto anche per l’avversario è sicuramente la persona giusta per cercare di mettere un freno a questo imbarbarimento progressivo della politica, per arrestare il circolo vizioso tra cattiva politica che corrompe la società e cattiva società che contribuisce a rendere la politica ancora più cattiva.
E’ anche la persona giusta per fermare quella forbice che si sta allargando sempre più tra i fatti e le promesse, le parole e le azioni della politica? Vorremmo crederlo, anche se abbiamo dei dubbi.
E tuttavia Veltroni questa volta sembra avere cominciato ad abbandonare le esternazioni a pendolo e aver scelto la politica dei fatti. Sembra aver capito che la gente non gli chiede più di darle dei sogni – come troppe volte lui ha fatto – ma di darle delle azioni. Gli chiede prosa, non poesia.
E’ chiaro che nella misura in cui una volta tanto pone degli obiettivi concreti e precisi – dimezzare il numero dei parlamentari – e pone anche dei termini altrettanto precisi – ridurre il numero dei ministri “dopo la finanziaria”, fare la riforma elettorale “in otto mesi” – il nuovo segretario del Pd mette a rischio sia il rapporto con Prodi – che mal sopporta il fiato sul collo del nuovo, pericoloso alleato-rivale – sia la sua stessa personale credibilità.
Una scommessa coraggiosa, d’altronde l’unica che Veltroni può fare se non vuole essere logorato pezzo per pezzo man mano che si consuma la residua credibilità di Prodi e del suo governo. Ed è altrettanto chiaro che le scelte delle convergenze e delle alleanze – se veramente vuole essere alternativo a Prodi, come dicono le sue promesse di “discontinuità” – non possono essere quelle suicide di schiacciamento sulla sinistra estrema che sono state proprie dell’attuale premier.
Dunque il gioco è stato aperto, il quadro politico non sarà mai più come prima, ma le sue variabili sono molte e difficili da decifrare. Come ha detto Scalfari, se il voto avverrà nel 2008 Berlusconi vincerà. Se sarà spostato in avanti la partita è aperta e il Partito democratico potrà giocare le sue carte. E molto, ovviamente, dipenderà anche dal sistema elettorale. In ogni caso, Veltroni punta ad un risultato del 35-40 per cento per il Partito democratico, e non è detto che non riesca a ribaltare l’attuale situazione come fece Berlusconi nella passata campagna elettorale. A patto che ancora una volta le mancate promesse non deludano i tanti che hanno votato per lui, e anche i tanti – magari provenienti dallo schieramento opposto – che forse sarebbero tentati di farlo.
Per capire come andranno le cose non dovremo aspettare molto. Basterà arrivare alla prossima estate.