Sembra proprio che tra qualche decina d’anni la nostra storia sarà divisa in due periodi, prima e dopo la televisione. Come ha denunciato Popper, il suo involgarimento progressivo (non solo – in Italia – di quella commerciale ma anche del cosiddetto servizio pubblico, che della prima ha preso tutti i difetti senza presentarne il vantaggio, la gratuità) sta provocando danni irreversibili nella psiche e nel costume dei giovani. Si depreca il bullismo scolastico ma cosa di diverso possono fare dei ragazzi che si trovano ad assistere all’esplosione di violenza contro la Mussolini in un reality show da parte di Vittorio Sgarbi o che prendono come modelli gli esempi di gratuita aggressività di trasmissioni – come quelle della De Filippi – a cui si fa un complimento definendole trash? Dalle quali imparano che combattere gli altri concorrenti con gli insulti e l’odio è segno di sana competitività? Purtroppo almeno per quanto riguarda la Rai – che come ente pubblico non dovrebbe cadere in questi bassifondi culturali – c’è da temere che andremo avanti così finché i partiti non smetteranno di mandare come loro plenipotenziari nelle reti personaggi scelti, anziché per meriti professionali, per altre capacità – come essere ligi agli ordini o magari saper rifornire di veline o aspiranti tali i divani dei politici. Dirigenti preoccupati solo dell’audience, che pensano di combattere la concorrenza sul terreno della volgarità e dei compensi sempre più alti (vedi i casi Hunziker e Baudo) e ignorano, solo loro, il grande successo delle letture di Dante fatte da Benigni o dei festival di poesia, filosofia e persino matematica a cui accorrono i giovani. Giovani che la nostra Rai disgusta e non conosce.
>>>>
>>>>
Quante volte ci si è ritrovati a far valere le proprie idee parlando con chi ancora ci considerava incapaci di esprimere un pensiero, vuoi per la giovane età, vuoi per la mancanza di esperienza.
Il modo di entrare in contatto con le diverse posizioni degli interlocutori era divenuta un’arte.
Spiegare loro come si era arrivati ad una conclusione, senza essere interrotti, un successo.
Bisognava praticare l’arte di farsi valere, del farsi capire, del non scendere a compromessi per affermare ciò che ci stava a cuore.
Quella fastidiosissima sensazione di quando si è più giovani, di dover rispetto ai più grandi solo perché ci hanno preceduti. Non il rispetto di fondo che non si nega a nessuno ma quello per cui, in una discussione, bisognava lasciar correre se quell’amico di famiglia piuttosto che lo zio di turno cercavano di illuminarci con una lezione di vita che non condividevamo affatto. Dovevamo riporre i bollenti spiriti e sorridere affabili senza riversare nella conversazione tutto quello che in quel momento ci passava per la testa. Convenzione intrinseca dell’educazione.
Non condividevo il modo di criticare di chi ci guardava dall’alto della sua esperienza. Gli insegnamenti sono sacrosanti ma non per questo devono essere imposti (fanno esclusione ovviamente tutti gli ammaestramenti genitore-figlio da “attento che il fuoco brucia” a “ricordati dei compiti”, imposizioni quelle ahimè necessarie…) .
Non lo condividevo allora e ancora oggi, pur essendo nella fase di transizione ultima tra l’essere ragazza e il divenire adulta, non lo condivido del tutto.
Non è detto che si debba rispetto a chi non ne merita solo perché ha il doppio dei nostri anni. Soprattutto se la persona che abbiamo di fronte non ce ne riserva a sua volta.
Questo non l’ho mai sopportato ed ho sempre ammirato chi, sempre educatamente, cercava di difendere le proprie idee, senza paura di andare contro chissà quale oracolo, con la voglia del confronto, dal quale non può che nascere una sana discussione che non è detto faccia bene solo ai più giovani.
Detto questo però, mi ritrovo oggi ad apprezzare in parte ciò che mi ha sempre dato così fastidio.
In fondo, se il portare rispetto a chi peccava di presunzione voleva comunque dire mantenere una conversazione decente, anche se spesso univoca, mi ritrovo ora a dover ammettere che ciò che è stato per me motivo di tanti fastidi e dissidi non sia forse così sbagliato.
Trovo che si sia perso di vista il confine tra far valere le proprie idee e la maleducazione più becera. La maleducazione e l’arroganza che capita di vedere gratuitamente tutti i giorni. E allora ben vengano le sculacciate e i rimproveri dei genitori che ci volevano impeccabili e che ci ricacciavano in gola ciò che loro, meglio di noi, sapevano già che stavamo per affermare (con tutte le occhiatacce e minacce sotto al tavolo del caso).
Quale allora la linea di confine tra carattere ed arroganza? Tra fermezza e presunzione?
Ricordo di aver visto il vincitore di una nota trasmissione di cosiddetti talenti (quando ancora competeva per il titolo) rispondere ad una signora del pubblico con un’arroganza ingiustificata, tacciandola di essere ridicola. Chi provò poi nelle puntate successive a dire che forse l’atteggiamento dei ragazzi sarebbe dovuto essere più corretto, si è sentito rispondere dalla conduttrice che i ragazzi si difendono dalle critiche e che questa è la giustificazione della loro aggressività.
Ma è giusto che un ragazzo, poco meno che ventenne, si possa permettere di rispondere ad una signora di essere ridicola senza essere tacciato di maleducazione? E quindi tempestivamente ripreso?
I ragazzi di questa trasmissione si insultavano a vicenda cercando di svilire in tutti i modi l’operato degli avversari. La risposta anche qui repentina di chi conduceva il programma è stata che la sana competizione non ha mai fatto male a nessuno.
Infatti. La “sana” competizione. Non il continuo tentativo di svilire l’altro.
Non sarà sbagliato (per chi guarda, ma anche per chi viene scusato) continuare a giustificare atteggiamenti maleducati mascherandoli per qualcos’altro?
Non dico che dovremmo essere esageratamente sportivi come i tifosi di un tempo che riuscivano addirittura ad ammettere che la tale squadra aveva meritato di vincere il derby, pur non essendo quella del cuore (atteggiamento tenuto, senza andare troppo lontano da mio padre che, pur avendo ragione, mi faceva imbufalire) mi rendo conto che non sarei realista e che le mie affermazioni potrebbero risultare piuttosto datate per non dire anacronistiche, ma la buona via di mezzo?
Il riconoscimento della superiorità altrui in quella piuttosto che in altra disciplina? Lo stimolo a migliorarsi, la stretta di mano tra avversari? L’imparare l’uno dall’altro, le discussioni costruttive?
Si può ancora trincerarsi dietro all’inflazionatissimo “io sono fatto così”, che tante volte ho sentito a giustificazione di un atteggiamento presuntuoso e maleducato?
Mi è impossibile evitare di riportare la mente ad una qualunque ipotetica nonna che avrebbe risposto “e sei fatto male!”; e giù sculaccioni; ”te lo faccio vedere io come sei fatto!” e via discorrendo…
Proprio non mi riesce di accettare l’arroganza con cui siamo bombardati ogni giorno.
Pare che con essa si possa accantonare l’essere in torto.
Il famoso scandalo che vede e ha visto coinvolto l’agente dei paparazzi segue la stessa linea.
Non so se qualcuno abbia visto l’arroganza con cui rispondeva alle domande dell’intervistatore.
Insopportabile. Insopportabile asserire non solo che per denaro uno dovrebbe essere pronto a tutto ma anche che il fine giustifica sempre i mezzi.
Tutto questo, non sarebbe così grave se a supportare tali affermazioni (che restano pur sempre nell’ambito della libertà di parola) non ci fosse una “spocchia” ingiustificata ed ingiustificabile.
Dietro all’arroganza non ci si può barricare per cercare di farla franca. Si può pensare magari di ingannare quei pochi che di arroganza e ignoranza ne hanno fatto un credo, agli altri, attoniti, non resta che rabbrividire.