Politica corrotta, nazione infetta. Così, parafrasando uno storico slogan, si potrebbe riassumere il messaggio – forse meglio, il grido d’allarme – lanciato in questo libro da due politici, entrambi ds, entrambi senatori con incarichi istituzionali ma anche universitari (Cesare Salvi, che molti ricorderanno ministro del lavoro nel passato governo di centrosinistra, è professore di diritto civile all’Università di Perugia mentre Massimo Villone lo è di diritto costituzionale all’Università di Napoli Federico II). Politica corrotta non tanto perchè siano tornate in auge le pratiche di tangentopoli (pratiche che nonostante tutto sono probabilmente rimaste abbastanza vive anche nel nuovo millennio, e Salvi e Villone non lo negano). Corrotta in un modo tanto più pericoloso in quanto apparentemente legale e ineccepibile. Corrotta (e corruttrice) perchè la formazione del consenso – quello che in una democrazia sarebbe il ruolo fondamentale dei partiti – non avviene più attraverso la discussione e la partecipazione ma attraverso una pratica di clientelismo eretta ormai a metodo di governo.
Commissioni e consulenze a gogo
Un clientelismo che si esprime nella proliferazione senza fine delle consulenze, degli incarichi, delle commissioni e che trova la sua espressione peggiore nella sanità – dove i primari, e via via gli aiuti e gli assistenti, sono normalmente selezionati in base all’appartenenza politica e non alle qualità professionali, contraendo un debito che verrà ripagato in moneta elettorale (l’apporto di voti che ogni medico ospedaliero è in grado di portare a un partito specie nel Mezzogiorno è esattamente quantificabile. Non si spiega altrimenti perchè alle ultime elezioni comunali di Messina risultavano candidati, nelle varie liste, ben 111 medici. E perchè molti dei politici siano ex baroni). E’ chiaro che tutto questo si risolve in un tragico, progressivo peggioramento dell’assistenza ospedaliera e dei suoi costi.
Mentre premia le sue clientele (nell’insieme, una massa di oltre 300.000 unità) la classe politica premia prima di tutto se stessa: non a caso gli emolumenti dei politici regionali e locali – trasformati da gettoni di presenza in vere e proprie retribuzioni – subiscono continui rialzi, così che un consigliere della regione Sicilia è pagato ormai più di un deputato nazionale. Non a caso gli stipendi dei nostri parlamentari europei sono al top dell’UE, superiori del 50% di qelli austriaci, tedeschi e inglesi, più del doppio di quelli dei loro colleghi belgi, olandesi, finlandesi, francesi.
Clientelismo bipartisan
Politica corrotta, quello che è peggio, in entrambi gli schieramenti, quello di centrodestra e quello di centrosinistra, perchè con grande sensibilità bipartisan quella che potremmo chiamare la metastasi della classe politica si verifica – e Salvi e Villone non mancano di notarlo – sia nelle regioni governate dal centrodestra che in quelle del centrosinistra. Nel Lazio le commissioni consiliari sono salite da 14 a 24, gli assessori da 12 a 16. Ha fatto scalpore, mesi fa, la notizia che in Campania era stata creata una commissione per il mare e una per il mediterraneo, entrambe ovviamente corredate di personale di supporto, segretari e assistenti congruamente retribuiti. La Calabria e la Lombardia hanno inventato i sottosegretari. Più o meno tutte le regioni hanno “ambasciate” a Roma e a Bruxelles, la Lombardia di Formigoni ne ha istituite 24 in tutto il mondo compresa l’Avana, la Sicilia ha messo un piedi un proprio simil-ministero degli esteri sotto la direzione di un ambasciatore in pensione. Per far “funzionare” tutte queste strutture occorrono naturalmente sedi costose da prendere in affitto o acquistare. Si moltiplicano frattanto nei consigli regionali i gruppi formati da un solo consigliere, ovviamente finanziati dalla regione. E’ grave che tutto questo accada in praticamente tutte le regioni, ma è tragico che accada nel Mezzogiorno d’Italia che per il tasso di disoccupazione – come ricordano gli autori – è superato in Europa solo da Polonia e Croazia ed è primo assoluto per tasso di disoccupazione femminile.
Intanto si moltiplicano anche le province, proprio quelle che da anni si parla di sopprimere in quanto ritenute (almeno da molti costituzionalisti) del tutto inutili. La Sardegna ne ha recentemente create quattro, tre sono state istituite dal Parlamento. Altre dieci sono in dirittura d’arrivo presso le Camere, ben 18 sono previste da altrettanti disegni di legge. C’è chi fa comprare alla Provincia azioni di autostrade a prezzi d’affezione. Non c’è da meravigliarsi che proprio mentre scriviamo queste note arrivi la notizia che i conti dell’apparato provinciale sono fuori controllo, con uno sforamento di oltre un miliardo di euro sui vincoli di spesa.
Via i controlli, niente pubblicità
Una spirale di dissipazioni che ha potuto propagarsi grazie a due fattori: lo smantellamento di ogni possibile controllo (puntualmente documentato in uno dei capitoli più interessanti del libro) da un lato, la mancanza quasi assoluta di pubblicità e trasparenza degli atti delle autorità amministrative dall’altro. Aboliti il commissario di governo e il segretario comunale indipendente, praticamente esautorata la Corte dei conti, schiacciata sotto il pugno di ferro politico la dirigenza attraverso il mai abbastanza deprecato sistema dello spoil system, depotenziate o soppresse le figure di reato (come l’abuso innominato di atti d’ufficio) che potevano costituire una remora agli abusi, eliminato o mai attivato il circuito virtuoso autorità-controllo-responsabilità, la politica si specchia ormai in un mondo autoreferenziale in cui l’abuso è divenuto prassi quotidiana.
Tutto questo con il pieno accordo di maggioranza e opposizione. Il conflitto di interessi di cui Berlusconi è il massimo esponente mondiale è stato metabolizzato e introiettato a tutti i livelli, se l’assessore calabrese di rifondazione comunista fa assumere la moglie come responsabile amministrativo dei suoi uffici, scusandosi col dire che aveva bisogno per quel posto di una persona di fiducia. E la gente telefona al commissario del partito per dire: ma se anche voi fate così, ogni speranza è persa.
Le cause
Salvi e Villone non si limitano però a documentare l’implosione progressiva del nostro sistema politico, sia periferico che centrale ma ne mostrano anche le cause e cercano di indicarne i rimedi.
Tra i motivi, tutti condivisibili, di questa degenerazione, citati dagli autori, noi metteremmo al primo posto la mancanza di un circuito virtuoso che leghi la responsabilità politica alla sanzione elettorale. In assenza di bilanciamenti reali di poteri – con il depotenziamento o annullamento di corte dei conti, coreco, altri controlli esterni di tipo amministrativo – dovrebbe almeno funzionare il percorso politico “pago-vedo-voto” su cui poggia la teoria dell’alternanza democratica. Nell’ambito di questa teoria si presuppone che il cittadino premi la classe dirigente al potere o la punisca in base al giudizio che dà del suo operato. Hai aumentato troppo l’Ici o le tasse auto, hai amministrato male la sanità? E io ti punisco votando per l’opposizione.
Ma questo non è possibile quando il sistema è bloccato da una muraglia che ideologizza la funzione amministrativa e demonizza l’avversario. Come quando il muro di Berlino, il famoso fattore K, impediva al partito comunista di partecipare al potere, così si è cercato e si cerca di ricreare in Italia un fattore D – demonizzazione – che dovrebbe impedire all’elettore moderato di mandare a casa l’amministrazione di centro-destra perchè questo significherebbe aprire le porte al comunismo. Naturalmente il sistema funziona nei due sensi: come si fa a mandare a casa un governo di sinistra che ha operato male mettendo così il comune, la provincia, la regione, lo stato, nelle mani dell’odiato centro destra? Chi tra gli elettori fedeli alla sinistra si assume questa responsabilità? Così coperte da questo nuovo, artificioso muro di Berlino le amministrazioni, di qualunque colore, possono macchiarsi di qualunque bassezza perchè sanno di essere al riparo, salvo clamorose frane elettorali, dal giudizio negativo dei loro elettori. Che si tureranno il naso ma si sentiranno obbligati a continuare a dargli il voto.
Il peso dei costi impropri della politica
E’ ovvio che sistemi politici così costosi e nello stesso tempo così chiusi in se stessi, così autoalimentantisi e autoreferenziali e così screditati nel giudizio dei cittadini non possono sopravvivere a lungo.
E per questo c’è da augurarsi che il grido d’allarme lanciato nel libro venga raccolto dalla classe politica e che le terapie proposte dagli autori siano discusse con l’attenzione che meritano.
La politica costa sicuramente troppo. Aggiungendo incaricati e consulenti al personale politico vero e proprio si raggiungerebbe un totale di quasi mezzo milione di “operatori politici”. Per un costo complessivo, calcolano Salvi e Villone, non inferiore ai 3-4 miliardi di euro. Una parte di questi costi è giusta e legittima, altrimenti potrebbero fare politica solo i ricchi e gli affaristi. Ma è doveroso domandarsi quanta parte di essi è davvero necessaria, quanta parte costituisce invece “un inaccettabile spreco di risorse, e quanta ancora è fattore di corrompimento e degenerazione della politica ma anche di aree crescenti della società attirate dal potere e dal suo uso disinvolto”.
In una fase in cui è in continua crescita il numero degli scontenti e degli astenuti, quella che gli autori chiamano la questione dei costi impropri della politica appare dunque cruciale per il futuro del nostro sistema democratico. Eluderla con sufficienza come se fosse vuoto moralismo è la cosa peggiore che una classe politica intelligente potrebbe oggi fare. Quello di Salvi e Villone non è un libro”contro”, è un libro “per” i partiti. Non è un libro “antipolitico”, al contrario è un libro di grande impegno politico e civile.
I possibili rimedi
Tra le proposte fatte dagli autori per cercare di superare questa situazione – nove in tutto – ci limitiamo a richiamarne una, la trasparenza. A nostro avviso, se semplicemente si riuscisse ad obbligare tutti gli enti a riportare nei loro siti Internet, a pena di nullità, i loro bilanci con i compensi degli amministratori – sia quelli degli enti stessi che delle società partecipate – insieme a tutti gli atti che comportano spese, consulenze, incarichi con nome e cognome degli incaricati e le loro retribuzioni, sarebbe un grandissimo passo avanti per far recuperare una maggiore correttezza alla nostra democrazia. Ecco un impegno che potrebbe avvicinare di più il centrosinistra ai cittadini in vista delle prossime elezioni politiche. (g.fornari – 29.11.05)
Edizioni Mondadori – pag. 184 – euro 16,50