“Considerazioni a margine di un convegno sul dialogo tra le fedi: testimonianze ed esperienze di un ebreo, di un islamico, di un cristiano”
Comincia l’Ebreo. E’ un po’ come il suo connazionale, Gesù, non parla, racconta, narra con semplicità, col tono di chi espone eventi scontati, ordinari, comuni, per null’ affatto eccezionali. Egli, come Gesù, utilizza per noi, non più semplici pescatori, lo stesso modello di comunicazione: la parabola.
Nel suo dire c’è il fascino del profeta che rivela JAVHE’, la Sua Parola, la Sua Legge. Ecco il suo racconto. “Alla nascita di una nuova vita, alla coscienza di chi l’ha generata, si pone il problema del che cosa dire al nuovo arrivato. Ed allora, voltandoti intorno e rivoltandoti dentro, scopri il valore delle antiche credenze, quelle che tu hai respirato con i tuoi genitori, viste come summa di tutte le esperienze delle passate generazioni, delle verità in cui hanno creduto e che tu, forte della tua giovanile ragione, hai ripudiato, o, comunque, ti sei illuso di averlo fatto. Ti accorgi, invece, di essere, tuo malgrado, anche tu, anello di una lunga catena di persone che non vogliono morire e che si offrono per andarsi ad annodare all’anello che hai partorito, quello che ti succederà e sarà, nel contempo, il successore e l’incipit di tutti gli altri che verranno … Ti scopri, allora, senza armi e senza appoggi, senza più certezze personali da offrirgli: la tua vigorosa ragione giovanile si fa d’improvviso adulta … E resti attonito e smarrito. Ti accorgi anche che la tua diaspora dalla fede degli antichi padri è finita; non hai più tempo per la tua personale ricerca; non puoi più coltivare l’illusione di una tua autonoma individualità esistenziale, indipendente dal tuo passato e dal tuo futuro. Il tempo delle contestazioni è finito; il nuovo arrivato preme e chiede. E a te non resta che dire: “eccomi, sono qui”. Comincia così il tuo vero cammino, nuovo e antico, ripudiato, ma amato e coltivato nel profondo. Comincia anche la tua testimonianza. E vidi che è là, pronta: la più certa, la più sicura, quella dei tuoi padri che l’anno ricevuta fin dall’inizio dal tuo Dio, con le sue premure, le sue promesse, le sue benedizioni ed anche le sue maledizioni, ma che sono già scritte e uguali per tutti gli uomini, di tutti i cieli, di tutti i tempi . … E Abramo generò Isacco e questi Giacobbe e … Giacobbe ebbe dodici figli … e l’ultimo fu Beniamino, cioè questo tuo figliolo, fragile, indifeso; più di ogni altro “cucciolo animale”, bisognoso di cure continue, lunghe; di avere a disposizione “quel brodo primordiale” delle mille e mille vite che lo hanno preceduto e messe a disposizione di lui che è venuto per ultimo. E’ il miracolo della vita che “Colui che sono” ci fà, in ogni istante della nostra esistenza, come espressione di amore e di particolare predilezione individuale ed è la stessa via che ci addita nei rapporti con chi ci è “più vicino”: la solidarietà, l’amore, la fratellanza. E l’ebreo, il connazionale di Gesù, come il Nazzareno, ce lo spiega con una parabola, “I due fratelli”. Eccola … Il vento, i tuoni e le saette squassavano la notte. I due fratelli si erano appena lasciati, correndo ciascuno a rifugiarsi al tepore dei suoi affetti familiari. Al sicuro nelle loro dimore si raccolsero per riposare. Ma le stalle erano in tumulto, le greggi rinchiuse belavano alte per le saette schioccanti di tuoni e boati. Allora, il primo pensò che gli animali di suo fratello, forse, erano senza fieno. Non si girò sull’altro fianco. Si alzò, corse nella sua stalla, si caricò una balla di paglia sulle spalle e, vincendo gli elementi, depose nella stalla del fratello minore, il fieno per le sue pecore. Poi, tornato a casa si addormentò. Anche il secondo sentì pena per i muggiti provenienti dalla. stalla del primo. E non trovò riposo fino a che anche egli, sfidando la tempesta, non portò alle povere bestie di suo fratello una balla del proprio fieno. Il mattino seguente, non si stupirono. Capirono il miracolo avvenuto in quella tempestosa nottata. L’amore per il suo “più vicino” aveva vinto l’egoismo. L’Ebreo ha terminato il suo racconto e nel rivolgersi al cristiano e all’islamico conclude che solo in questa prospettiva, quella dell’ amore e della reciproca comprensione, può esserci costruttiva e proficua convivenza. Tocca ora all’ Islamico dire la sua. Egli parla della Legge e del Corano e del Profeta, (Sia sempre benedetto il suo nome!), e dice anche di Maria e di Gesù, quelli che più sono a cuore al Cristiano. C’è grande rispetto per loro. La Jihàd, al femminile, va intesa come “sforzo individuale” contro il male e non come “guerra santa” contro “l’infedele da sgozzare”, anche se è in pace con la gente dell ‘1slam, anche se sta dalla loro parte, contro la sua stessa gente … Mentre egli parla mi viene in mente il vecchio aforisma di Tertulliano: “Sanguis Martirum, semen Cristianorum”, E’ la conseguenza del comandamento di Gesù, un profeta nel Corano, quello che ai suoi seguaci diceva: “Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi fanno del male, se uno ti percuote su una guancia, porgi l’altra guancia” … Gesù, un tipo strano, un illuso, un pazzo, uno che pretende sostituire la Legge del taglione con quella dell’ Amore, convinto che questa è più giusta, più forte… Il pacifico Muhammed ha finito. Il suo territorio è stato quello all’uomo più vicino, un Signore Supremo che sta nella natura, un terreno del comprensibile e del possibile, dell’ umano. Senza volerlo, però, ha parlato anche lui di Gesù. Ben ha detto il “dotto “Cristiano”, intervenuto, poi, che di Gesù si è parlato “per terze persone”. Nessuno, forse, sceglierebbe, questa sera, di farlo in prima persona L’atmosfera di fraternità sognata e creata, si dissolverebbe! Ecco perché questa sera tutto è rasserenante, all’ombra del “dialogo” inseguito, all’insegna del “siamo tutti fratelli”. Tanto più che, qui, la fratellanza è gratuita, non pone rischi, come magari, avviene in altri Paesi, di diversa fede, dove fondare il “Silsilak”, movimento di dialogo tra islamici e cristiani, ti può portare, dritto dritto, al martirio (Vedi Salvatore Carzedda, cresciuto nel PIME di Ducen ta, martire del dialogo nelle Filippine). Parliamo, naturalmente, di un martirio subito e non cercato, né voluto; dove la vita te la tolgono con la violenza del “Jihad” (al maschile) e non facendosi esplodere, vestiti da martiri, per provocare stragi d’innocenti… Ma qui, questa sera, alla penombra di questo antico giardino, nell’ atmosfera colta di palazzo “Parente”, affollata di gente che chiede ed offre pace, non si parlerà in prima persona di Gesù. Perché, Gesù, è un nome rischioso. Parlare di Lui, del profeta di Nazareth, è parlare di “Differenze”. Perché Egli fà la differenza. E, invece, questa sera, dire che la Verità del Cristo “non è negoziabile”, non è da “costruttori di pace” e, forse, è turbare la coscienza che vuoi essere in pace a tutti i costi… Che peccato, però! In fondo la serata poteva essere proprio quello che prometteva di essere. Forse, per certi aspetti, lo è anche stata. Ma, forse, e perdonatemi di tutto, poteva essere più vera se, alla forzata ricerca di una consonanza “in quiete”, si fosse preferita una costruttiva conoscenza delle proprie differenze, per meglio capirsi, meglio “camminare nei mocassini dell’ altro”, come ben diceva la nostra anfitrione, professoressa Maria Luisa Coppola, per accettarsi per quello che ciascuno di noi, in fondo, è, senza meriti e senza demeriti.